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La cocciuta voglia di cambiare la città “dal sogno al segno”
curatori
Si chiama "Cuore di Pietra", ma non c'è niente di duro. Piuttosto, il progetto che ci racconta Mili Romano, artista e curatrice, è morbido. Fatto di incontri e di dialogo con gli abitanti di Pianoro, paese vicino Bologna. E di invenzioni
di Mili Romano
“Cuore di pietra” è un progetto di Public Art da me curato a Pianoro dal 2005 che sta accompagnando i cambiamenti urbanistici legati al Piano di Riqualificazione Urbana che ha demolito gli insediamenti IACP originari della fine degli anni ’40 per modellare un nuovo centro del paese. Molto articolato nel tempo, nei metodi di progettazione ed azione, vede gli artisti lavorare in stretta relazione con gli abitanti in una collaborazione che procede a passi molto incisivi, seppur leggeri e divertiti.
A dare inizio al tutto è stato un mio gesto d’artista, la creazione di un manifesto “poetico-politico” che è stato affisso per strada e poi esposto alla finestra dagli abitanti che hanno aderito all’azione. Tutto è cominciato dunque dalle mie passeggiate con macchina fotografica e videocamera e da un rimuginare personale e critico sulle città che cambiano e sullo spazio che per noi artisti si apre. Alla pratica della riflessione e dello studio, si è affiancata sempre più prepotente l’idea dell’arte come pungolo costante, e non solo filosofico e concettuale, per un passaggio da una riflessione e rappresentazione della città ad un’azione in essa, con la cocciuta voglia di cambiarla “dal sogno al segno”: vecchio sogno umanista e delle avanguardie di comunicazione attiva e transdisciplinare che trova nello spazio pubblico non deputato il suo terreno di azione e trasformazione.
Per “Cuore di pietra” la cura attenta nel tempo e la pressoché quotidiana relazione, garantita dalla mia presenza di curatrice/artista, con gli abitanti sono state e sono fondamentali, non solo per la realizzazione dei singoli progetti, ma per sviluppare dinamiche partecipative nuove. Una sintesi di questo articolato lavoro si può trovare, oltre che nei primi due Quaderni e nei video, nell’Album di figurine che da ottobre 2011 è in vendita nelle edicole del paese. L’album è una sorta di “catalogo” dinamico di sette anni di attività e invita ad un gioco collettivo e ad un’azione di “assemblaggio” di una storia in progress, e ben si adatta allo spirito relazionale e di trasformazione profonda e al contempo lieve e condivisa che ha da sempre contraddistinto negli anni Cuore di pietra. È una memoria di tutti gli interventi artistici che si sono susseguiti e una guida alle installazioni che si incontrano passeggiando. Interventi artistici nei quali “idea”, “progetto” e “affetti”, “rituali umani”, segni estetici e continua ricerca di senso sono stati il risultato di un processo di relazione “nella lunga durata”.
L’album di figurine ha restituito l’allure di “giocosa epicità” a eventi, memorie attive e relazioni che si sono costruite fra le persone e gli artisti e, attraverso la creazione di gruppi di “scambio” ancora attivi, si propaga come continua energia e occasione di incontro per nuovi progetti.
Uno dei presupposti metodologici di Cuore di pietra e dei quali l’album è un po’ il simbolo, è proprio l’idea di un lavoro, quello dell’arte nelle città, che dovrebbe crescere gradualmente con la collaborazione, l’impegno e la responsabilità di tutti. Un lavoro da seguire nel prima (la fase progettuale per l’artista, il curatore e il pubblico), nel durante (il presente della realizzazione) e nel dopo (cura e manutenzione). Un lavoro dove “alto” e “basso” si fondono senza false retoriche. Forse è ancora utopia per le città contemporanee, soprattutto italiane, nelle quali l’arte, quando è invitata ad intervenire è spesso “evento”, spot; è strumento politico per l’Amministrazione pubblica che la sostiene più che momento di un processo di trasformazione culturale.
Per “Cuore di pietra” ciò che è fondamentale non è solo il risultato ma il processo che a quel risultato ha portato, non è l’installazione finale o il segno forte di un artista ma il processo che a quell’installazione avrà portato e quanto il segno di un artista avrà assorbito dal contesto, le tracce vive e ancora attive che quell’opera avrà sullo spazio pubblico. Si tratta di un lavoro cresciuto senza molti mezzi finanziari e senza una spettacolarità immediata. Ha visto i molti artisti di volta in volta invitati a intervenire con i linguaggi più diversi che, coinvolgendo la popolazione e le sue memorie, hanno accompagnato i cantieri e la trasformazione del paese, sollecitando una riflessione/azione sullo spazio e una partecipazione che si è fatta sempre più consapevole e appassionata: dai graffiti e wall painting di Cuoghi Corsello e di Andreco ai fumetti giganti di MP5 che in una nuova area abitativa ricostruiscono la storia delle vecchie case e i suoi rituali. Dalla luminaria affettiva e calda, intessuta di racconti e di ricordi di vita, fatta da Anna Rispoli/ZimmerFrei con i lampadari che gli abitanti hanno donato, alle memorie del vecchio cinema Igea ricostruite da Daniela Spagna Musso attraverso la raccolta di filmini privati; dagli interventi nel verde di Alessandra Montanari e degli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Bologna alla costruzione di “Passaggio di luce”, un padiglione in ferro e vetri colorati, che restituisce la memoria di un vecchio gazebo nel quale gli abitanti del quartiere giocavano a carte, e che le nuove generazioni hanno riconosciuto e fatto loro.
Nella sua fragilità Passaggio di luce (progetto mio in collaborazione con Pippo Ciorra), che secondo l’ora e il tempo atmosferico si trasforma in caleidoscopio e in spazio autenticamente polifonico, è diventato un po’ lo spirito di tutto il progetto. Dalla segnaletica “fantastica” di Anna Ferraro, che per le strade traccia i desideri di appaesamento di anziani e bambini, a Toile de joie, la tenda-memoria realizzata da Annalisa Cattani con le fotografie raccolte fra le donne italiane e straniere. Dal lavoro di “intaglio” di Cristian Chironi su un libro di memoria locale agli interventi di Emanuela Ascari, Eva Marisaldi ed Enrico Serotti nelle case a schiera dismesse di via Carducci che da due anni sono diventate uno spazio nel quale “Cuore di pietra”, ora diventato associazione culturale, sta lavorando con continuità.
Un intervento artistico può e dovrebbe essere, a mio avviso, soprattutto quando è nella dimensione dell’abitare, un elemento propulsivo verso un miglioramento, affatto retorico, della qualità della vita, prezioso tramite per un ritorno alla città come spazio che si fa luogo di incontro, luogo emotivo, di rituali, luogo “antropologico ed esistenziale”. La stessa “bellezza”, spesso invocata come missione dell’arte, soprattutto quando la si vuole nelle città , è relativa e unilaterale, quando non è condivisa in progetti attraverso i quali si riveli nella costruzione di quella che James Hillman definirebbe l’anima del luogo.
Nel parco antistante la Biblioteca vi è un tavolo-panca che sulla sua superficie riporta delle mappe di Pianoro rielaborate con gli adolescenti dei gruppi di aggregazione ASL: emozioni, racconti dei loro percorsi, del disorientamento di alcuni di loro, stranieri, e musiche, ricordi, profumo di spezie, di cibi, e sorrisi, rabbie, partecipazione divertita e chiusure a riccio. Servabo è il titolo di questo lavoro, il design è mio in serrato dialogo, per le mappe che sulla sua superficie sono riportate, con Mona Lisa Tina. “Servabo” dunque: “Conserverò, terrò in serbo, e anche servirò, sarò utile”, è ancora un lavoro sulla memoria e un invito a guardarsi attorno con un’attitudine a cogliere ciò che normalmente, per distrazione, non si vuole vedere.
Altra particolarità del tavolo-panca è la sua forma: un grande punto interrogativo che si apre sullo spazio pubblico, pungolo costante ad interrogarsi sulla sua trasformazione, sui metodi dell’arte pubblica, sui suoi limiti, le sue potenzialità, e sul ruolo della cultura nel nostro paese, che fatica a consolidare i cambiamenti culturali. Un punto interrogativo giocosamente, ironicamente, cocciutamente e fiduciosamente aperto sul futuro e sulla possibilità di costruzione, attraverso l’arte, di uno spazio autenticamente e criticamente democratico.