Categorie: curatori

La residenza è mia e me la gestisco io

di - 18 Ottobre 2012

Alcuni anni fa, nella mia antica veste di artista, venni invitato a partecipare alla mia prima “residenza”. Prima della partenza ero galvanizzato all’idea di trascorrere un periodo di ricerca lontano dalla mia città e di vivere in comunità con altri artisti. Trovai una realtà molto diversa: da un lato la difficoltà di contatto con gli altri ospiti, per la maggior parte dei quali l’esperienza costituiva una mera opportunità “professionale”, dall’altro una quasi impossibile integrazione nel tessuto della città che mi ospitava, se non all’interno del solito, ristretto (e noiosissimo) microcosmo di gallerie, curatori, addetti ai lavori… Una realtà che sembra riproporsi sempre uguale a se stessa, indipendentemente dalle coordinate geografiche.

Artista-in-residenza, confinato nel mio studio, sentivo di esser diventato io stesso l’oggetto di una  collezione. Amaramente consapevole che, dopo la mia partenza, nulla di me avrebbe continuato a vivere nel contesto che lasciavo.

Così iniziai a riflettere su come un’opportunità, sulla carta così stimolante come quella offerta dai programmi A-I-R, potesse essere profondamente “riformata”.

Alla fine del 2009 è nata Kaninchen-Haus (in tedesco “casa-coniglio” o “conigliera”) uno spazio basato sull’ambizione di fondare una “casa”, un luogo ideale, in cui l’esperienza e il mio percorso individuale venissero messi da parte per fare largo all’ideazione di una strategia di gruppo. Credo che Kaninchen-Haus sia stata una reazione a un sentimento di stanchezza, forse non solo mia, nei confronti del mondo dell’arte contemporanea. Al bisogno di cercare un modello in qualche modo alternativo, indipendente dalle “mode curatoriali” e dai meccanismi che imbrigliano gallerie e istituzioni. “Kaninchen-Haus artist-run-organization” nasce all’interno di una traiettoria che unisce l’Attacco Pirata alla Biennale del 2007 con la personale di Coniglioviola al PAC di Milano, emblematicamente intitolata “Sono un pirata, sono un signore”: un’operazione che, nonostante il contesto istituzionale, ho vissuto come piratesca. In un momento particolare e anche “critico” della mia avventura nel mondo dell’arte, avevo deciso di gestire l’intera esposizione, di dimensioni ingenti, in maniera assolutamente indipendente, occupandomi non solo di focalizzare il punto per otto rocamboleschi anni di arte e di vita, ma anche di tutti gli aspetti legati alla produzione: dal fund-raising all’edizione del catalogo. Tutto questo, imprudenze incluse, alimentava un nuovo patrimonio professionale che non poteva essere messo da parte.

Nel 2011 – a latere della Biennale di Venezia – è nato il Pirate-Camp, un programma di residenza itinerante, destinato a ospitare, di edizione in edizione, un gruppo di giovani artisti di ogni provenienza all’interno di un “campeggio pirata”, da allestirsi in occasione dei più importanti eventi d’arte contemporanea. Esperimento anti-istituzionale per eccellenza, in cui un gruppo di artisti, selezionati su open call da una giuria composta da artist-run space, ha potuto sperimentare il proprio status di “extratteritorialità” mettendosi alla prova in un contesto difficile come quello della Biennale, senza alcun filtro o mediazione curatoriale. Il primo Pirate-Camp rifletteva proprio su questo statuto ontologico dell’artista, utilizzando le figure chiave del pirata e dell’accampato, per disegnare il ritratto di una figura che non può mai integrarsi completamente nel sistema, che deve rimanere a bordo-ring per poter a tratti prendere parte alle danze, a tratti osservare (e criticare) in disparte i giocatori.

L’architettura, fragile e provvisoria, del campeggio, rappresenta proprio questa modalità di relazione allo spazio: dove abitare una porzione di terra non ne sancisce la proprietà. D’altro canto è proprio il pirata una rappresentazione radicale del fuori-legge e del senza-stato.

viadellafucina A.I.R., come format di residenza, si colloca quindi quasi agli antipodi di Pirate-Camp, mettendo questa in campo, attraverso molteplici meccanismi, un progetto di coesione totale con lo spazio e il territorio.

viadellafucina A.I.R. è una residenza basata su un concept unico al mondo, nato da un ideale di condivisione e solidarietà tra artisti, ma anche sulla possibilità di agire e vivere integralmente uno dei quartieri di Torino più complesso, ricco di storia e di energia inesplosa, quello in cui io stesso vivo: Porta Palazzo.

La prima peculiarità di viadellafucina risiede nel meccanismo del gemellaggio. Per partecipare al bando abbiamo richiesto ai candidati di costituire spontaneamente delle coppie, composte da un artista già operante sul territorio torinese e da un altro straniero, intenzionate a collaborare e a costruire un progetto condiviso che avesse come centro di intervento il quartiere di Porta Palazzo. L’integrazione si realizza poi anche attraverso altri meccanismi come la collaborazione con tante istituzioni torinesi e associazioni del quartiere, con la rete di gallerie e di collezionisti, oltre che con molti ristoratori locali. La residenza non ha infatti un’unica sede ma, tramite la cooperazione con le realtà locali, i sei artisti ospiti utilizzano l’intero quartiere come un laboratorio diffuso.

Le tre coppie di artisti selezionate dal comitato scientifico di questa prima edizione sono ora impegnate, attraverso tre percorsi diversi che a volte si incrociano ma che produrranno esiti molto distinti, in progetti che li vedono misurarsi attivamente con la realtà e la popolazione del quartiere, attraverso pratiche collaborative e partecipative.

Lavorare quotidianamente con loro e confrontarmi con visioni, estetiche e modalità a volte anche lontane dalle mie, è la parte più bella ed eccitante del viaggio.

Punto di arrivo, ma non il più importante, di questo tragitto sarà la mostra di fine residenza che inaugureremo nella sede espositiva di Kaninchen-Haus: il K-SPACE di via S.Agostino venerdì 9 novembre, in contemporanea ad Artissima.

Con viadellafucina inizia anche una nuova fase nel mio percorso.

L’identità di artista è quello che finora mi ha permesso di sottrarmi a qualunque definizione: di ruolo o professione. In questa nuova fase sento l’esigenza di mettere da parte la produzione di opere con l’ambizione, forse ancora più alta, di poter essere iniziatore di processi che coinvolgano altri artisti e, quindi, intervenire sulla stessa comunità.

In un momento di crisi delle istituzioni culturali, dovuta a una più ampia e, credo positiva, messa in discussione dei nostri sistemi e dei nostri modelli, molti si chiedono cosa o come fare. viadellafucina vuole essere una possibile risposta, un modello sperimentale che vogliamo riproporre

Sua Coniglità,

Brice Cornelio Coniglio

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