Facendo rivivere la magica atmosfera di un’epoca legata ai Ballets Russes, al fermento creativo che caratterizzarono gli inizi del Novecento, anni di cambiamenti significativi con al centro la leggendaria figura di Nijinskj, nello spettacolo “Il cigno”, c’è tutta l’ammirazione, la conoscenza e la passione del coreografo e regista Fredy Franzutti per quel genio prolifico che è stato Fokine. Un ricco omaggio – e unico in Italia nell’anniversario della morte del coreografo russo (80 anni lo scorso 2022) – questo del Balletto del Sud, che comprende alcuni estratti tra le più significative opere di Michail Fokine (San Pietroburgo 1880 – New York 1942) rielaborate, e altre totalmente nuove, da Franzutti con quella mano sapiente che attinge, com’è sua peculiarità culturale, alla dettagliata ricostruzione storica anche dei costumi originali.
Non solo. Prende per mano lo spettatore accompagnandolo nella storia personale di Fokine elaborata da Walter Prete, autore dei testi originali che l’attore Andrea Sirianni recita vestendo i panni di Fokine introducendo le diverse coreografie. La sua presenza in scena funge da filo rosso richiamando gli incontri che hanno segnato la vita artistica del coreografo: fra cui l’impresario Diaghilev e il compositore Stravinskji, i ballerini Anna Pavlova e Vaslav Nijinsky, i pittori teatrali Alexandre Benois e Léon Bakst, e luoghi quali Parigi, San Pietroburgo e New York. Era l’epoca che univa arti sceniche e liriche in un nuovo movimento, e che trovava in Fokine un rivoluzionario fautore. Rigettando le convenzioni ballettistiche e il manierismo, egli fu artefice di nuovi princìpi sui quali doveva poggiare il balletto classico del Novecento.
«La danza – ribadiva fra il resto – non deve essere un puro divertissement introdotto dalla pantomima. Nel balletto tutto il significato della storia deve essere espresso dalla danza. Prima di tutto danzare deve essere interpretazione; non deve degenerare in mera ginnastica. Deve in realtà essere parola plastica. Deve spiegare lo spirito degli attori nello spettacolo. E, ancora, esprimere l’intera epoca alla quale il soggetto del balletto appartiene».
Sollecitati dal susseguirsi delle coreografie proposte da Franzutti, si riaccendono, unendo vista e udito, le note di celebri brani musicali – eseguiti al pianoforte da Scipione Sangiovanni – della nostra memoria collettiva: “Sheherazade” di Rimskij-Korsakov, “La morte del cigno” di Camille Saint-Saens, “Lo spettro della rosa” di Carl Maria von Weber, “Les Sylphides” di Chopin. La magia della serata è subito creata dal balletto d’apertura “Chopiniana” (più comunemente conosciuto come “Les Sylphides”), con le linee oniriche e gruppi di tulle con le ali sulla schiena delle silfidi e i fiori tra i capelli. “Sheherazade”, storia di desiderio, tradimento e morte, è uno dei balletti di Fokine che rivelava l’ossessione dell’epoca per l’Estremo Oriente.
E gli idiomi stilistici di una danza esotica li ritroviamo sintetizzati nel breve duetto tra Robert Chacon nei panni dello Schiavo e Aurora Marino in quelli della principessa Zobeide, nel loro turbinare e serpeggiare con sensualità. “Le spectre de la rose” del 1911, ispirata ad una poesia di Téophile Gauthier, è un romantico duetto – Alice Leoncini e Ovidiu Chitanu – nell’atmosfera sospesa del sogno, tra una fanciulla e la rosa regalatale da un giovane alla sua prima festa da ballo, fiore immaginato come uno spirito fatto di petali cremisi e profumo, e con una forza sensuale. Dopo averle piroettato delicatamente attorno e averle abbozzato un ultimo giro di valzer, lo Spettro vola via come era entrato. E lei, al risveglio dalla poltrona, si ritrova con la sola rosa in mano.
Dal prezioso fondale dipinto che riprende i disegni e i colori dell’originale del balletto di Fokine musicato da Stravinskij, sbuca Petruška immettendoci nell’esotismo di una Russia perduta su cui aleggia il mito e il folklore. La storia dell’infelice marionetta da baraccone innamorata del fantoccio di una ballerina, che prova sentimenti e ama, ma soccombe contrastato dal terribile manichino del Moro, è qui concentrata nella scena della camera quando al ricordo della ballerina, preso da grande gioia Petruška si rianima euforico da terra.
Il fulminante assolo interpretato da Fabio Meneguzzo col sorriso clownesco dal calore melanconico, con trucco e costume perfettamente ripresi da una foto dell’originale di Nijinskij, è un vigoroso gesticolare di rigide braccia in aria e di salti, che fanno erompere in lui la rabbia solitaria, la gioia illusoria e la disperazione frenetica quasi espressionista del burattino ribelle al giogo del padrone-ciarlatano.
A completare i titoli del programma (al Teatro Apollo di Lecce), accanto al terzetto di “Carnaval” su musica di Robert Schumann, alla variazione da “Le Pavillon D’Armide su musica di Nicolai Čerepnin, e un estratto da “L’uccello di fuoco” di Stravinskij, non poteva mancare il prezioso celebre assolo “La morte del cigno”, danzato da un’intensa ed espressiva Nuria Salado Fustè sulle note popolarissime di Saint-Saëns, in chiusura di una magica serata il cui titolo “Il Cigno” è riferito a quello originario del balletto reso celebre dall’interpretazione di Anna Pavlova.
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