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A Bolzano Danza vanno in scena i travolgenti videogame umani di (La)Horde
Danza
Formano una comunità, una tribù creativa, un collettivo compatto. Sempre travolgenti, contagiosi, nei loro spettacoli. Li accomuna uno spirito libero, energico, ribelle. Ragazzi dalla forte identità, capaci attraverso il corpo della danza, ibridata di codici diversi, di scuoterci con visioni battagliere, graffianti, potenti. Sono i giovanissimi artisti internazionali di (La)Horde Ballet National de Marseille, guidato, dal 2019, dall’eclettico trio Marine Brutti, Jonathan Debrouwer e Arthur Harel, esploratori di dinamiche sociologiche del mondo contemporaneo, specie della generazione Zeta. L’acclamato Age of Content (ospitato in prima nazionale al Festival Bolzano Danza), indaga l’influenza che ha nelle relazioni umane l’universo social e virale che produce, e la spettacolarizzazione dei contenuti, anche violenti.
Lo spettacolo nasce dalla domanda: “I nostri avatar sono un riflesso dei nostri corpi, o è il contrario?” In tre diversi quadri, la frantumazione della nostra epoca sempre più fatta oggetto del mondo virtuale confuso con quello reale, è rappresentata come un grande videogioco in carne e ossa, ispirandosi agli avatar, appunto, al video game Grand Theft Auto, alle coreografie del mondo Tik Tok, ai fantascientifici robot della serie tv Westworld, e infine al musical.
La scena è un enorme magazzino industriale, un hangar vuoto con una scala e un ballatoio metallici, e dietro un tendaggio. Successivamente aperto, svelerà una sorta di caverna illuminata da una luce rossa. Tutta la prima parte è una sequenza di collisione, prolungata e man mano violenta, prima tra due figure, poi moltiplicata tra più, per l’espugnazione di un’automobile telecomandata a distanza come in un gioco della Playstation, da un uomo posizionato sulla balconata.
Tutti in tute chiare da jogging e volto coperto, a ritmo techno (su partitura di Pierre Avia, compositore di musica per immagini, con momenti sonori di vento, acqua, e cinguettii), 16 performer si sfidano, si confrontano in una battaglia di ego e di potere, di prevaricazione sull’altro, tra ironiche acrobazie circensi e cinematografiche miste a gestualità di arti marziali. Poi si desiderano sessualmente, meccanicamente, sempre con aggressività. In ultimo, abbigliati di coloratissimi e variegati costumi pop, scoprono una gioiosa e spensierata fratellanza che li unisce, e danzano appagati in nome di una comune appartenenza umana. Questa è una lunga, bellissima sequenza stile musical sul flusso ipnotico delle musiche minimaliste di Philip Glass, dove, come in una seducente passerella, mixando passi postmodern e jazz, la danza cresce di velocità moltiplicando infinite variazioni di movimento che ricordano le onde vorticose e astratte di Lucinda Childs.