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Contemporaneamente: un trittico di giovani coreografi per il Balletto di Parma
Danza
Trampolino di lancio non solo per giovani danzatori ma anche di coreografi emergenti, il Balletto di Parma, nuova promettente compagnia appena fondata, nel 2020, da Lucia Giuffrida e Francesco Frola, merita attenzione per la qualità delle proposte e dei danzatori la cui preparazione tecnica e interpretativa balza agli occhi di tutti. Lo si è visto nella bellissima serata di Contemporaneamente, trittico al Teatro Regio di Parma (nell’ambito di Parma Danza) con creazioni firmate da giovani talentuosi coreografi.
Roberto Doveri, già interprete di Opus Ballet e del Nuovo Balletto di Toscana, oggi vocato sempre più come autore in grande crescita con creazioni anche all’estero (fresco di debutto per il Ballett Theater Pforzheim, e una commissione, nel 2023, per Scapino Ballet a Rotterdam), con Autarchia firma un gioiello coreografico d’ipnotica bellezza formale ed emotiva. In un’oscillante dimensione onirica e terrena, dal segno astratto, quattro uomini fanno da sfondo ad una coppia di donne – un’unica persona – dai gesti rispecchianti e dalle posture musicalmente pulsanti. In loro ravvisiamo la ricerca d’identità, d’indipendenza, di stabilità e unicità, il lento ma costante affrancamento dagli ostacoli interiori che apre a nuove verità di sé.
Sull’ammaliante partitura musicale di Matilde Benvenuti, i danzatori si spostano in precise traiettorie con movimenti minimali, ondivaghi, netti, a terra e in verticale, seguendo una linearità spaziale ben definita, quasi matematica, rotta da un vibrare di gesti meccanici, che si sciolgono alternando velocità e sospensione. E intanto, nell’incedere dubbioso reso da movimenti incalzanti e poi bloccati, s’insinuano pensieri – una voce appena udibile sussurra “Voglio vivere” – che agitano la mente. Ha un respiro e una visione quasi tridimensionale la raffinata architettura coreografica che Doveri ascrive in scena nel disporre i corpi. Li muove con una sincronia microscopica in un crescendo di pathos quasi impercettibile che cattura anche emotivamente. E trova nel lieve bacio finale delle due donne il raggiunto equilibrio di conoscenza e accettazione di sé.
Con Autarchia, Doveri manifesta un suo segno autoriale ben nitido che si va sempre più definendo. E il passaggio da creazioni più intime ad altre composite e con più interpreti, lo conferma.
Il diciannovenne Nnamdi Christopher Nwagwu, anche versatissimo danzatore della compagnia, in What they see is not what we see, trae ispirazione dalla teoria dell’io riflesso del sociologo statunitense Charles Horton Cooley per rappresentare le relazioni in un gruppo di persone condizionate dalla percezione di come si è visti dagli altri, come vediamo noi stessi e come vorremmo essere visti. Dagli squillanti costumi gialli e rossi – infine tolti per rimanere in canotta e slip – i dieci danzatori compongono un carosello di dinamiche interpersonali formando scene sempre in movimento di gruppi che si dividono, si ricompongono, gareggiano, emulano.
Ritorna di frequente il gesto ritmato di una mano sul petto, i salti su una sedia e a terra, mentre emergono le personalità dei singoli con le attrazioni, le avversioni, le litigiosità tipiche, e le complicità, i giochi, la ricerca di consenso, e di amore (bellissimo il passo a due fra lo stesso Nwagwu e Chiara Giordano). Nwagwu padroneggia bene lo spazio e il gruppo, dimostra già una buona capacità di composizione, ha buone idee e conoscenza dei diversi stili di danza – modern, afro, jazz, contemporaneo – che però mescolati e accompagnati dalle molte (troppe) musiche di autori vari, non aiutano una visione più omogenea della coreografia che si auspicherebbe. Stile ancora scolastico il suo, che col tempo si definirà, ma più che promettente per un giovanissimo all’inizio.
Evoca un sud arcaico ancora attuale, intriso di umanità, lo spettacolo Carne Viva di Francesco Gammino, già danzatore di ArtemisDanza e di Spellbound Dance Company e da tempo coreografo. Attinge alle sue radici per un racconto personale sulla donna in una società patriarcale e maschilista, dove la “forestiera” è guardata come oggetto di scompiglio. Nel descrivere la sua Sicilia, il coreografo attinge a piene mani nel patrimonio musicale della band Agricantus e nei canti impastati di dialetto di altri autori, inclusa la sola voce rauca di un anziano registrata durante un comizio.
Su questo vivace tessuto sonoro la danza vive di una ricchezza di gesti continua con un graffio nervoso e dinamico che esalta il virtuosismo dei danzatori specie nei momenti di massa. E sono intrecci, balzi e cadute, assoli e duetti, ben orchestrati attorno all’accesa figura femminile in abito bianco, con sequenze esaltanti come il danzare sopra, avanti e indietro attorno a una fila di sedie, che ricorda la notissima coreografia Echad mi yodea di Ohad Naharin. Un linguaggio contemporaneo, quello di Gammino, con echi di teatrodanza, nel quale, accanto a dei gesti espressionisti, impagina un energico racconto privo di affettazione narrativa.
Meritano di essere nominati i dieci bravissimi danzatori del Balletto di Parma, cresciuti quasi tutti alla scuola di Frola e Giuffrida: sono Lisa Malaguti, Filippo Ferrari, Eleonora Natali, Zarah Frola, Mattia Marzi, Alessia Giacomelli, Chiara Giordano, Paolo Grosso, Daniele Natale, Nnamdi Christopher Nwagwu.