Italo Calvino, riportato in exergo all’omonimo libro “Crolli” di Marco Belpoliti da cui è tratto questo spettacolo dal vivo di danza contemporanea, affermava che: «Giorni di catastrofe sono tutti i giorni in cui non succede nulla». Nel nostro spettacolo multidisciplinare molto, invece, accade. In un mondo dalle tinte post-urban senza tempo e distopico, la banalità della vita quotidiana viene interrotta dall’arte, dalla vitalità artistica di 12 danzatori professionisti, dall’espressività dei loro corpi che, assumendo i connotati di campi di battaglia, si intrecciano e si allontanano in un continuo vortice gravitazionale.
La riflessione che attraversa lo spettacolo muove dalle pagine di Marco Belpoliti pubblicate per i tipi di Einaudi. Il libro si distingue per una lettura agile e “obliqua” degli anni Novanta, anzi a partire dal 1989 quando è crollato il Muro di Berlino, per concludersi nel 2001 con il crollo delle Torri Gemelle. Belpoliti propone una lettura di questo decennio catastrofico (nel senso etimologico “di capovolgimento”, “di un’improvvisa inversione di rotta” rispetto allo status quo) “obliqua”, “laterale” come il passo del torero perché compiuta non attraverso le cronache politiche e giornalistiche, ma immergendosi nella letteratura, nell’architettura, nella filosofia, nelle arti visive, dalla fotografia alla videoarte. Un “metodo”, questo utilizzato dallo scrittore, che andrebbe esteso ad altri periodi della nostra storia contemporanea (e non solo a questa). Ma torniamo al nostro spettacolo.
Quello che maggiormente ha colpito e suggestionato lo scrivente, più competente in arti visive che in danza contemporanea, è la scenografia di Alessia Gatta (che firma anche la regia dello spettacolo) realizzata in collaborazione con un’artista eclettica di cui mi sono più volte occupato, Viola Pantano, impegnata in ricerche tra videoarte e fotografia, con esordi nella danza. In questa occasione Pantano è interprete, performer dello spettacolo, nonché autrice degli elementi scenici scultorei.
“Crolli” trova la sua sintesi formale proprio in un elemento scenico, nella gabbia che domina la scena dal prologo all’epilogo, allegoria potente e robusta di un ordine desiderato, di una panic room che offre rifugio, dalla quale però si vuole anche evadere per spezzare il terrore dell’ordinaria banalità del quotidiano.
Se la gabbia stabilisce da un lato una relazione tra la figura e lo spazio, dall’altro è comunque un’illusione, d’altronde «bisogna intensificare la qualità illusoria, per creare il più possibile l’effetto della vita». Sono le parole di Alberto Giacometti che evoco qui non a caso, pensando alle sue cages surrealiste. Anche sul palco del Brancaccio, come per le cages di Giacometti, la struttura lineare della gabbia è una vera e propria cellula spaziale che contiene flussi di energia sotterranei in grado di precipitare l’umanità che la abita in un vuoto che può essere terribile e soffocante oppure liberatorio, la precondizione per la creatività, per l’arte, quindi per la vita. Dalla gabbia, nella gabbia, sulla gabbia, attraverso di essa nel nostro spettacolo si dipana un’indagine che, partendo da un’interpretazione in chiave metaforica di avvenimenti storici a cavallo tra due secoli (quali la caduta del muro di Berlino e l’abbattimento delle Torri Gemelle) racconta la storia di un’identità, permettendo che esperienza collettiva ed esperienza personale entrino in dialogo.
Lo spettacolo vede la partecipazione dell’attore Giacomo Ferrara, giovane rivelazione dell’anno conferitogli ai Nastri d’Argento 2017 e conosciuto per il personaggio di “Spadino” nella serie Netflix “Suburra”. I testi visionari sono di Hube-Marco Ubertini (riadattati teatralmente da Eleonora di Fortunato). Il disegno sonoro, attraverso sinfonie fatte di sonorità dense, distorsioni melodiche, suggestioni post-rock, neopsichedeliche, ambient/elettroniche, è a firma della band Mokadelic, nota al grande pubblico per aver composto le colonne sonore di “Gomorra”, “Sulla mia pelle” e “Romulus”. Non da ultimi, la partecipazione del rapper WhiteBoy, il disegno o meglio la scultura di luci di Alessandro Caso, i costumi di Gloria Pasquali e gli straordinari danzatori di [Ritmi Sotterranei] contemporary dance company: Vanessa Guidolin, Viola Pantano, Matilde Cortivo, Greta Martucci, Rebecca Pantano, Alessandra Fanella, Daniele Toti, Anthony Dezio, Gianluca D’Alò, Andrea Bouothmane, Alessandro Plos, Francesco Colella.
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