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Il programma è fitto, per due intense settimane una rosa di appuntamenti invade Bolzano. Stiamo parlando di “Tanz Bozen/Bolzano Danza”, decretato dal MIUR come il primo festival di danza d’Italia al momento della sua 35esima edizione.
Il tema centrale di quest’anno è il Wanderer, il viandante romantico che viaggia alla ricerca di se stesso; accolto in luoghi inconsueti, addentrato in percorsi sconosciuti, esposto alle domande sull’esistenza contemporanea.
Gli spettacoli, con artisti nazionali ed internazionali, superano l’idea del canone estetico, la concezione di confine, di diversità, l’idea classica del movimento e della forza di gravità e invitano ad esplorare territori sconosciuti, andando oltre i confini classici del corpo. Si spazia dalle classiche coreografie della danza contemporanea del Novecento per celebrare il centenario di Merce Cunningham a lavori consolidati, come per esempio Skull*Cult di Christian Rizzo e Rachid Ouramdane e R.OSA di Silvia Gribaudi, passando per prime nazionali, per sperimentazioni contemporanee e site specific come Witches gestures di Latifa Laâbisi, Pauline Boudry & Renate Lorenz a Museion.
Non solo teatri ma anche spettacoli e performance che hanno portato in luoghi inaspettati; dentro strade, musei, parcheggi, parchi e piazze, come per indurci a passare dentro l’inafferrabile, a creare da noi il nostro soggettivo percorso. Alcune performance outdoor (sezione curata dal coreografo francese Rachid Ouramdane) si aprono alla condivisione di spazi, sensazioni e paesaggi, altre indoor, per ospitare un tipo di osservazione indisturbata anche se, in entrambi i casi, siamo invitati a percorrere i luoghi interiori più inesplorati. In questo intreccio di esperienze, la musica dal vivo ha una parte centrale, anche perché il festival è organizzato dalla fondazione Haydn di Bolzano e Trento, un nome prestigioso all’interno del panorama musicale, e perché incarna una delle linee guida della progettualità 2018-2020 curata da Emanuele Masi.
Olivier Dubois, COD TROPISMES, ph Andrea Macchia
Nell’aria inconsueta che invade la città, il desiderio è quello di vedere più spettacoli possibile. Siamo mossi da un senso di curiosità involontario, da un’armonia elegante e all’avanguardia. Qui ognuno sceglie il suo percorso quasi incondizionatamente, lasciandosi trasportare dal flusso, dalla ricerca che ciascun danzatore, coreografo, musicista e performer ci invita ad osservare e a riportare dentro di noi. Siamo come attratti da porte invisibili che ci si aprono davanti, colti improvvisamente da una forza che ha a che vedere con lo spirito del viaggiatore – del Wanderer – , un’energia che si rispecchia in modo chiaro nelle parole dell’esploratore Franco Michieli: «è la strada che trova il viandante».
Ma andiamo avanti, dentro queste creazioni abbiamo spesso modo di misurarci con noi stessi; in quanto osservatori e in quanto partecipanti, come persone presenti, come corpi. Consapevoli di dove siamo arrivati e di ciò che di inconsueto abbiamo raccolto, ci immergiamo dentro nuove superfici e allora iniziamo a dialogare con territori conosciuti e sconosciuti, con indizi, riferimenti e cose invece mai viste. Ovunque ci troviamo, in questo festival abbiamo l’occasione di stare dentro una cosa e dentro suo contrario.
Due esempi su tutti: Tropismes della Cod-Compagnie di Olivier Dubois e Metamorphosis della Compagnia Virgilio Sieni.
Tropismes è il terzo progetto di una serie di lavori del coreografo francese su Dante. Un dialogo -sottolinea Dubois durante uno dei talk- che vuole essere di confronto. Nessuna ispirazione quindi, ma un costante riferimento che permette tanto la possibilità di un accordo che di un disaccordo con i temi principali della sua letteratura. Uno spettacolo ambientato in un club, un lungo viaggio nella notte, nella foresta oscura –che peraltro può diventare un unico cerchio con gli altri luoghi nei quali ci porta Dante- dentro quello che per lo stesso Dubois è il posto che racchiude la condensazione della human comedy del nostro tempo. L’oscurità è il punto nel quale si acuisce la vista per poter vedere, il momento nel quale si aprono le porte di ciò che è nascosto alla luce, il momento in cui è possibile entrare nei segreti dell’anima. Lo spettacolo si muove secondo uno schema geometrico, seguendo una musica scritta e composta in precedenza ma eseguita dal vivo, sensibile alle variazioni del tempo presente. Un moto continuo, che si rinnova con coerenza dentro il ritmo del tempo che scorre. Questo il motivo del titolo, che si risolve nella definizione di un gruppo di danzatori che si muovono continuamente in relazione ad una perenne ricerca della luce, dentro il buio, contro l’oppressione del tempo.
Virgilio Sieni, Orchestra Haydn, Metamorphosis, ph Andrea Macchia
Chi guarda è dentro la frenesia dei corpi che si spostano irrefrenabili, si accorge che emerge il fisico, il sudore. L’atmosfera cambia man mano, siamo rapiti e portati davanti alla consapevolezza che tutto può essere messo in discussione; vale il bianco e vale il nero, vale la percezione soggettiva e vale tutto il resto che salta fuori e, per citare il coreografo, «è questione di sopravvivere alla notte, di trovare l’equilibrio fra la pozione che ti uccide e quella che ti salva».
Metamorphosis è invece lo spettacolo della compagnia Virgilio Sieni, un’opera eseguita sulle note di Arvo Pärt dall’Orchestra Haydn diretta da Chloé van Soeterstède. In questa performance arrivano i chiari riferimenti ad Ovidio, per il quale l’uomo si forma toccato dallo spazio e in questa dimensione di cambiamento – di metamorfosi appunto- tutto si muove su uno spazio orizzontale. I passi dei danzatori, la musica, la scenografia si uniscono nell’affrontare insieme la dimensione della soglia (in questo caso il riferimento è a Rilke e alla dimensione del viandante) dove ogni elemento è connesso nella ricerca dell’equilibrio. Anche qui nel talk di fine spettacolo Sieni parla della sospensione dell’uomo, di un uomo che sa reagire alla gravità con l’emozione. È questo il punto: in Metamorphosis i danzatori vivono intimamente la dimensione vitale, si estendono a quella che il coreografo chiama “vibrazione” in un dialogo con la forza di gravità. I corpi eseguono movenze inconsuete, incontrano lo spazio con armonia dentro gesti inconsueti, inusuali e non per questo meno eleganti. La coreografia ci porta ad immaginare una bellezza che sta fuori dall’ordinario, ci propone di includere ciò che pensiamo non sia possibile, quella variazione che non siamo abituati a considerare armonica. Nel momento in cui la musica rimane in pausa i corpi continuano a danzare; siamo invitati a tener conto del silenzio come di una parte essenziale del movimento, come di un vettore – e appunto un’estensione, una vibrazione- che ci conduce oltre la soglia come un respiro che dilata il suo spazio.
Virgilio Sieni, Orchestra Haydn, Metamorphosis, ph Andrea Macchia
Il gesto è quindi lo strumento essenziale per affrontare la linea ambigua della trasformazione e del rinnovamento, un movimento infinito che si materializza nell’incontro continuo di azioni eseguite da danzatori e musicisti attentamente in accordo con la dimensione immateriale di una linea d’orizzonte in continuo movimento.
Queste geografie, che si traducono in spettacolo, espandono domande, ci fanno compiere mutamenti e intavolano continue riflessioni che si fanno concrete attraverso il corpo, lo strumento che per eccellenza ci rimanda all’essenza di ciò che siamo e ci spingono verso tutto quello che, senza ancora saperlo, possiamo essere.
Possiamo lasciarci con le parole di Emanuele Masi: «che amiate la danza o la musica, che preferiate scoprire o ritrovare, vi auguriamo che Bolzano Danza sia il buon rifugio per il Wanderer che è in voi», che valga per adesso e per i giorni a venire perché, come abbiamo imparato, il gesto non è altro che una continua rivelazione degli infiniti spazi che si trovano dentro di noi.
Cinzia Pistoia