Va detto subito che il corpo di ballo scaligero Ăš in stato di grazia. Interpreti eccellenti, versatili, capaci di confrontarsi, con slancio interpretativo e assoluta padronanza tecnica, nelle differenti cifre stilistiche del linguaggio contemporaneo: quello dei quattro coreografi della serata âDawson/Duato/Kratz/Kylianâ. Un programma originale che ha brillato per qualitĂ grazie alla scelta del direttore Manuel Legris di invitare gli autori succitati (con lâunico appunto, forse, di non aver inserito anche il lavoro, celebre o nuovo, di grandi coreografe della scena contemporanea internazionale).
Di una purezza cristallina, sulla sfolgorante scena bianca, Ăš âAnima Animusâ (creato nel 2018 per il San Francisco Ballet) di David Dawson con quel movimento perpetuo di linee fluide, marcate anche dal disegno dei costumi bianchi e neri segnati da una striscia lungo la schiena, e il virtuosismo dei danzatori che non conosce sosta nelle continue entrate e uscite, gli attraversamenti, i duetti, terzetti, i compositi e articolati gruppi.  Di puro classicismo astratto che ricorda Balanchine e Forsythe, sulla musica di Ezio Bosso lââEsonconcertoâ, il lavoro di Dawson ha trasposto in danza la teoria di Jung sul lato femminile nellâuomo e il lato maschile nella donna, esplorando forze opposte di energia e amalgamandole in un turbinio di estensioni estreme dei corpi, con momenti di adagio, di emozioni trattenute per nuovi slanci in alto e attrazioni a terra.
âRemansoâ, di Nacho Duato, creazione del 1998 per la CompañĂa Nacional de Danza e ispirato a un poema di Federico Garcia Lorca sulla musica dei âValses poĂ©ticosâ di Enrique Granados (eseguita dal vivo dal pianista Takairo Yoshikawa), ha la struttura di una conversazione intima e leggera, giocata sulla complicitĂ maschile di un trio. Da dietro una parete quadrata, dal colore cangiante, che ricorda il muro da cui emerge un torero nellâarena, Roberto Bolle, Nicola Del Freo e Mattia Semperboni si alternano nel nascondersi, fare capolino con le braccia o le gambe, uscire, avanzare in assoli, duetti e terzetti, in equilibri lâuno sullâaltro che creano forme e linee scultoree davanti e sulla parete. Sono ora atletici o fragili, ora morbidi o disimpegnati, sempre musicali nella plasticitĂ dei movimenti, e con un inserto teatrale quando su un braccio teso compare una rosa che Bolle prende fra i denti mentre continua a ballare (va detto che agli applausi finali il suo ripetuto persistere da solo in proscenio Ăš apparso poco generoso nei confronti dei giovani, bravi, colleghi).
Una novitĂ assoluta il brano di Philippe Kratz, giĂ danzatore di Aterballetto e oggi sempre piĂč in crescita come autore. âSolitude sometimesâ, titolo che allude al detto anglosassone âLa solitudine a volte Ăš il compagno miglioreâ, si sviluppa sulla musica di Thom Yorke e del gruppo britannico Radiohead, con i danzatori che, allâinterno di quella partitura elettronica, seguono, in gruppo o divisi, un proprio ritmo individuale. Dietro di loro un grande schermo orizzontale con immagini di interferenze digitali. Il loop quasi ininterrotto di movimenti che si addensano, scivolano, si moltiplano, serve a rendere lâidea del trascorrere del tempo, del percorso di trasformazione e rinascita. Kratz sâispira, infatti, al ciclo della vita e della morte presente nella mitologia egizia, nello specifico nel âLibro dellâAmduatâ, antico documento funerario che parla del concetto dellâaldilĂ .
Scomparendo e ritornando, i danzatori procedono a piccoli passi strascicati â alla moonwalk di Michael Jackson -, fluenti da un lato allâaltro del palcoscenico, con improvvise varianti di gesti e movimenti che riprendono le figurazioni dei geroglifici egizi. Tra lâesserci e scomparire, lâandare e ritornare da soli o insieme, i quattordici danzatori dai costumi dorati vivono una sorta di trance con quei corpi che sembrano plasmare il tempo e iscriversi nello spazio.
La chiusura della serata Ăš con uno dei capolavori di JiĆĂ KyliĂĄn âBella figuraâ (1995), titolo che ha a che fare con lâidea del mostrare lâaspetto migliore di sĂ©, sia nella vita che sulla scena, tra arte e artificio. Ă, per il coreografo, lo stare sul confine tra fantasia e realtĂ , e trovare nel mezzo sentimenti, tensione, alchimia. La coreografia inizia col sipario giĂ aperto sui ballerini che eseguono esercizi di riscaldamento mentre le luci della sala sono accese e il pubblico continua a chiacchierare.
Di una qualitĂ lirica e sensuale, il balletto, di intatta e sempre nuova bellezza, vive immerso nella musica barocca di Pergolesi â lâinizio Ăš con lo âStabat Materâ -, Marcello, Vivaldi, Torelli e dellâamericano Lukas Foss, universo sonoro che i danzatori, nel susseguirsi dei vari quadri, restituiscono con chiarezza di linee sospese, taglienti e scorrevoli, posture pittoriche, eleganza di forme che generano una varietĂ di atmosfere emozionali. Tutto scorre tra grandi tende rosse che si abbassano e si aprono come un otturatore, che risucchiano una danzatrice, che incorniciano corpi a torso nudo e dalle ampie gonne rosse, in una dissolvenza di quadri che apre alla meraviglia, per finire con un silenzioso duetto caratterizzato dal gesto del toccare la spalla leggermente sollevata del partner, riposizionandola.
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