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I debutti al Festival Visavì di Gorizia, che cresce e si diversifica
Danza
Alla sua terza edizione, il festival transfrontaliero Visavì Gorizia Dance Festival (che si svolge tra Gorizia e la gemella Nova Gorica in Slovenia) con la direzione artistica di Walter Mramor di Artisti Associati, manifesta una crescita in qualità e proposte diversificate. Aperto dallo spettacolo, in prima nazionale, “Soul chain” della coreografa Sharon Eyal per la compagnia tedesca Tanzmainz, il festival ha puntato ad altri diversi debutti nazionali, tra cui “Sympósion” di Giovanni Gava Leonarduzzi e Claudia Latini della Compagnia Bellanda, “Heres: nel nome del figlio” di Ezio Schiavulli, e “Memento” di Nyko Piscopo della Compagnia Cornelia.
Sympósion
Con una densa scrittura fisica e drammaturgica che include il video, Gava Leonarduzzi e Latini, partendo dal “Discorso di Aristofane” contenuto nel Simposio, firmano un articolato duetto che attinge l’ispirazione dal dialogo filosofico di Platone per analizzare la relazione di coppia oggi in una visione di ritrovata armonia. Nella divisione a quadri di “Sympósion” segnato da quattro momenti emblematici sull’immortale tema dell’amore – l’origine, l’incontro, la scoperta, il dono -, sono le immagini di coppie riprese in diversi ambienti a scandire il tema della continua tensione dei corpi all’unione e alla primitiva unità, alla ricerca di un’unica identità, tra desiderio e pulsione, slancio e inibizione, curiosità e sgomento, lotta e attrazione. «Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore» scriveva Platone.
Il primo quadro si apre nella semioscurità di un risveglio primordiale creato da un telo luccicante dalle sagome informi che mutano in vorticoso magma mosso dall’interno, e dal quale emerge l’uomo. Nell’incontro speculare con la donna e l’approccio amoroso – annunciato, nel video sovrastante, dal rincorrersi gioioso di una coppia dentro un verde canneto, e più avanti da una coppia maschile con l’immagine di un simbolico uovo che si rompe -, segue la scoperta giocosa l’una dell’altro dentro una striscia di prato.
Come fauni sensuali di un après midi, si alzano molleggiando, cullandosi, rotolando, scivolando nelle braccia tra corteggiamenti e piccoli baci ripetuti; infine seminudi nell’amplesso del dono reciproco espresso con una danza di contorsioni, gambe inarcate, intrecci, accompagnata da uno struggente motivo della cantante greca Danai Stratigopoulou, per chiudersi sulla traccia musicale di Ivo Dimchev.
Sul resto del tessuto sonoro di musiche di Ariel Marx, Sigur Ròs e Shinya Sugimoto rielaborate dal sound designer Maurizio Cecatto, la danza trova le giuste atmosfere per un energico articolarsi di tutto il corpo nel comporsi snodabile con una sorta di incredibile naturalezza, movimenti che si propagano nervosamente assumendo singolari forme e posture in velocità e in morbide prese. L’approccio drammaturgico che ha contraddistinto il lavoro coreografico di Leonarduzzi e Latini è segnato dalla figura dell’ermafrodita dalla sessualità indistinta narrata nel discorso di Aristofane, caratterizzata nella forza e nella forma da più gambe, braccia e mani, e con una mobilità atipica. Terreno fertile quindi per gli intrecci fisici e fortemente espressivi che i due danzatori e coreografi inanellano in scena con un loro peculiare stile che sempre più vanno definendo, un originale linguaggio che coniuga e fonde la breakdance e l’hip hop di Leonarduzzi e il contemporaneo di Latini in una densa contaminazione emozionale di forte impatto.
Heres: nel nome del figlio
Colpisce e ammalia per l’originalità drammaturgica e per la magistrale esecuzione “Heres: nel nome del figlio” di Ezio Schiavulli. Il talentuoso coreografo e danzatore pugliese da anni attivo oltralpe, attinge ai miti greci coi complessi di Edipo e Telemaco descritti da Freud e Lacan, e a un saggio di Massimo Recalcati, per parlare del rapporto padre-figlio, in particolare indagando il ruolo e l’identità dell’erede. Ispirandosi alla reale figura del padre batterista, Schiavulli entra con il suo personale vissuto restituito attraverso un travolgente “assolo percussivo” ideato assieme a due batteristi presenti in scena, Dario De Filippo e Donato Manco. Situati frontalmente sopra una pedana mobile il duo di musicisti diventa la figura paterna con la quale misurarsi, confrontarsi, dialogare, lottare, emanciparsi, e a cui ritornare.
L’itinerario emotivo del performer si delinea dall’emergere divincolandosi sotto la pedana alla conquista di un proprio spazio di libertà; poi manovrando quel podio, trascinandolo e ruotandolo, salendovi sopra, scoprendo nuove visioni nel dialogo percussivo e gestuale che instaura coi batteristi scambiandosi anche i ruoli, mentre i movimenti della danza seguono il loro ritmo incalzante, energico o pacato. Il mondo interiore che il corpo esprime giocando con lo spazio sonoro, gli stati d’animo con la pulsazione e il battito cardiaco che lo accompagnano, trovano nella partitura coreografica di Schiavulli una sorprendente chiarezza emotiva; e un ulteriore affondo poetico nel finale con tutti gli strumenti smontati, appesi uno ad uno a dei fili sospesi, e leggermente percossi da gesti oscillanti, mentre egli, nella semioscurità, lentamente si denuda sopra la pedana vuota.
Dopo la consapevolezza della propria identità riannodando i fili di un nuovo legame filiale, sembra attendere il ritorno paterno. E ci viene alla mente quanto Schiavulli scrive sulle note citando Recalcati: “Tutti almeno una volta ci siamo affacciati al mare in attesa che qualcosa tornasse da lì”. Lo spettacolo sarà in scena il 25 ottobre al Teatro Kismet di Bari per il DAB Festival, e il 29 al Teatro Massimo Cagliari per il FIND Festival.
Memento e Migration
S’ispira all’emblematico “Aspettando Godot” di Beckett lo spettacolo “Memento” del coreografo Nyko Piscopo, una metafora della vita, dell’attesa e della speranza, affidata a quattro bravi danzatori (Compagnia Cornelia) immersi in una scena che trascolora dal blu a rosso, e coni di luce dentro i quali vibrano i corpi sfidandosi, ricercandosi, convergendo verso un punto indefinito. Attorno ad una sorta di totem piramidale scomponibile, luogo di rifugio, di attrazione, di osservazione del mondo, è un pulsare di movimenti astratti scattanti, sinuosi, energici, tra sequenze corali, duetti e assoli, a terra o in verticali che disegnano storie in quello spazio rituale di scoperta e di attesa.
Concepito per gli spazi all’aperto del Palazzo Attems-Petzenstein, “Migration” della Compagnia Ivona dell’italo-spagnolo Pablo Girolami, continua la tematica a lui cara di osservazione della natura e, nello specifico, degli uccelli nelle forme architetturali dei loro movimenti. La performance site-specific vede quattro danzatori dare vita, coi movimenti delle braccia prima, poi di tutto il corpo, avanzando a piccoli passi ritmati, compatti e a tratti distinti, a uno stormo che migra.
A guidarlo, nascosto, è lo stesso Girolami attraverso una serie di tasks che impartisce ai singoli e al gruppo (anche senza le sue indicazioni, probabilmente, non cambierebbe lo svolgimento). La performance si risolve in un reiterato, a tratti ossessivo e stancante, languore gestuale, un loop uguale e fine a se stesso, complice il ritmo musicale ripetitivo. Necessiterebbe, la danza, di nuovi innesti creativi in quanto apparentemente “impantanata” nel solco di un percorso già tracciato (e visto), che riprende le ibride creature del precedente lavoro “Manbuhsona”.