C’è un flusso di mani e braccia liquide, di gambe disciolte, di movimenti sinuosi che da terra si alzano e si propagano nei due corpi attraversati da un costante rumore d’acqua scrosciante che ce li fa immaginare immersi in essa. Agua porta la firma di Salvatore Romania, coreografo e danzatore siciliano, e Laura Odierna, entrambi direttori della Compagnia Petranuradanza. L’idea di questa creazione presentata, ancora in forma di studio, al Teatro Piccolo Bellini di Napoli, attinge al concetto di resilienza, ossia la capacità di un sistema di adattarsi all’ambiente e definire forme di r-esistenza per superare le criticità. A dare forma a un’onda dinamica, a un flusso emozionale sulla musica elaborata dallo stesso coreografo – un mix melodico col suono percussivo dell’Hang -, sono i due danzatori Claudia Bertuccelli e Francesco Bax.
Alla lentezza iniziale e alla distanza che mantengono tra loro, fanno subentrare un’accentuazione di movimenti e scatti man mano sempre più veloci fino ad avvicinarsi e unirsi. Romania indaga, attraverso l’energia dei due corpi, l’archetipo maschile e femminile tesi a raggiungere nell’unione, un’armonia superiore. C’è una qualità morbida e risoluta di movimento che egli imprime nella tensione degli arti protesi in più direzioni, nelle pause e nelle rapide asprezze, nelle fluidità e nelle torsioni dei corpi, ricondotte in una fisicità che ingloba più stili, corporeità che costituisce la cifra del coreografo.
I due si accolgono, si sorreggono, si spingono, roteano, scivolano l’uno sull’altra, si distinguono osservandosi in disparte nei reciproci assoli per ritrovarsi infine insieme dentro un fascio di luce, inondati da quel suono acquatico che ha dato loro forma e consistenza.
Di altre forme e densità si plasmano i corpi di Andrea Piras e Tonia Laterza della compagnia Collettivo Trasversale nella coreografia Body Things – chapter 2 Xxy series di Macia Del Prete, artista associata di Artgarage. Questa nuova breve creazione, un sequel che fa seguito a Body Things, è ispirata al racconto Cinismo di Sergio Bizzio e all’adattamento cinematografico di Lucia Puenzo. Rappresenta un’ulteriore esplorazione sul tema delle «Fluttuazioni di genere attraverso un’introspettiva sulla realtà delle persone intersessuali», così leggiamo nelle note programmatiche. Che continuano: «Lo spartito coreografico si snocciola attraverso una narrazione fragile e difficile incentrata sulla percezione intima e “diversa” di un soggetto non binario mediante le prime esperienze sentimentali e sessuali, tra la confusione che tutto ciò può creare e la pressione psicofisica che si subisce nel dover operare una scelta sul proprio corpo strano».
Al di là dell’assunto, decifrabile o meno, convince quella gestualità ribelle, fitta di gesti ebbri di vita, che sembrano dar voce alla musica dello strumento, cesellandosi su di essa e contemporaneamente distaccandosene. La coppia, unica entità e distinta, cavalca lo spazio con una spinta all’azione ricca di pulsioni, di fremiti, di attrazione e respingimento. C’è un turbinio gioioso ma anche uno sfiancamento protratto di piccoli e più ampi gesti, di tocchi sulla testa, d’intrecci e avvinghiamenti, di slanci delle braccia che progressivamente evolvono in movimenti più complessi, a terra e per aria, incidendo posture scultorie subito infrante che improntano l’adrenalinico codice gestuale della coreografa.
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