Ultima delle sedi che hanno visto tre dei quattro Centri Nazionali della Danza (Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto, DanceHauspiù e Scenario Pubblico/Compagnia Zappalà Danza, Compagnia Virgilio Sieni Danza, quest’ultima non in scena) mostrare in un’unica serata alcune loro recenti creazioni, è stata la Dancehaus di Milano. Speciale Tre Centri di Produzione è il titolo della serata che ha accostato in un unico spettacolo i diversi linguaggi delle coreografie di Philippe Kratz, Matteo Bittante e Roberto Zappalà.
O firmato da Kratz – danzatore e coreografo sempre più produttivo in seno ad Aterballetto, compagnia per la quale ha già all’attivo diverse creazioni – nasce dalla suggestione per il primo esperimento di interazione tra due robot umanoidi avvenuto ad Hong Kong nell’estate del 2017. Nelle intenzioni s’ispira all’idea di eternità come obiettivo finale dell’umanità e di un essere umano ideale da raggiungere. In scena, una coppia – Arianna Kob e Clément Haenen – che, inizialmente, si muove in controluce davanti ad un grande riflettore-diffusore. Possiamo immaginarlo come una polla di calore, un sole che lentamente illumina e scalda; o un occhio, fonte di conoscenza, che osserva e dà input ai due essere umani dai gesti robotici spezzati da movimenti sempre più fluidi. Con passettini ripetuti e gambe ondeggianti nella mollezza che li spinge, i due danzatori entrano, scorrono ai lati, avanzano e indietreggiano spaziando singolarmente e poi insieme mentre agitano le braccia sinuose e ritmate con larghe aperture. I leggeri costumi scuri cedono il posto al denudarsi del petto, in un ritrovato contatto fisico che li vede incunearsi l’uno nell’altra, muoversi all’unisono con forme e gesti più umani. Con questo breve duetto – un gioiello coreografico che contiene tutta la preziosità di un talento sempre più emergente – Kratz si è imposto col primo premio al 32° Concorso Coreografico di Hannover del giugno 2018.
È un paesaggio dell’anima quello che riflette come rito bucolico Matteo Bittante, in I wandered lonely as a cloud. Co-direttore e artista residente di DanceHauspiù, Bittante trae ispirazione dai versi del poeta romantico William Wordsworth “Vagavo solitario come una nuvola”, per una coreografia che attinge a ricordi di fanciullezza a contatto con la natura, quella «…oggi da difendere e proteggere contro le ideologie di un’epoca che contaminano e desertificano la Madre Terra». I corpi dei tre danzatori – Fabio Calvisi, Alice Carrino, Giovanni Leone -, vivono una continua tensione metamorfica che li vede germinare da forme circolari, poi da una cascata di fiori gialli e rossi, lanciati e sparsi a terra, inglobati tra le dita delle mani e dei piedi, alla ricerca di una sintonia con la natura. Alla quiete idilliaca si contrappongono i turbamenti e il disordine interiore del vivere caotico, pronunciati in una danza vibrante e sincopata con momenti di puro lirismo. Estasi e tormenti che i corpi esprimono con assoli, duetti e terzetti; e il subentrare, mentre la donna-natura osserva inerte, momenti di lotta con lunghe aste gialle che marcano territori, segnano difese e divisioni, fino a una ritrovata unione nel respiro che si leva dai corpi inarcati. Da essi, stesi a terra, infine eretti verso punti di luce, fluiranno ancora fiori dal grembo celati dalla camicia e sgorganti dalla bocca.
La coreografia di Roberto Zappalà, X3, rappresenta la seconda fase di un progetto a tappe dedicato alla musica di Johan Sebastian Bach, compositore prediletto dall’artista catanese per molte sue creazioni. Il numero del titolo è riferito a quello dei danzatori in scena, che nello step finale prevede la presenza di tutta la compagnia. Lo spettacolo definitivo si chiamerà Rifare Bach. In X3 sono le Variazioni Goldberg e altre musiche bachiane – Preludio n.2 per clavicembalo ben temperato e Siciliana -, che sfumano nel sound pianistico di Danilo Rea, a muovere la danza dei tre interpreti, Filippo Domini, Delphina Parenti, Erik Zarco. Ai due uomini, inizialmente emergenti dal buio accompagnati da un ululato di lupi, si unirà più avanti l’interprete femminile. Siamo forse dentro un bosco. Chissà. Non c’è una drammaturgia a dircelo, e non importa. Zappalà ha voluto solo una danza pura, astratta, quella che i corpi incidono nell’abitare lo spazio con la bellezza di movimenti minuziosi e scomposti, molleggiati, in bilico, e in piegamenti graffianti, dove morbidezza e forza convivono. A un duetto di scoperta dell’altro con riposizionamenti delle varie parti del corpo che ci fanno immaginare astratte posture di pennuti, segue un terzetto sparso, smembrato poi in accordo sempre mutevole – non privo d’ironia – con grandi aperture ed estensioni delle braccia in più direzioni, che assecondano, con disarticolazioni e dinoccolamenti, la musicalità di tutto il corpo. Quella sprigionata da Bach.
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