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Ogni suo spettacolo è una sterminata biblioteca visiva, un atlante della storia antica e moderna, dove ogni sequenza è un viaggio in un immaginario iconico denso di riferimenti e simboli. Che richiamano archetipi universali. Il suo è un teatro senza etichette, una coreografia senza canoni, una pittura senza cornice, una scultura scomponibile. D’altronde lui stesso, Dimitris Papaioannou, che ha l’Arte Povera nel suo Dna, si definisce un pittore, un artista che compone immagini. Non fa eccezione l’ultima sua creazione Transverse Orientation (in prima nazionale al Campania Teatro Festival, poi a Torinodanza e al festival Aperto di Reggio Emilia), ancora una volta folgorante per quella capacità inventiva volta non a stupire ma, com’è per i veri artisti, ad aprire mondi “altri”, suscitare visioni personali in ciascuno spettatore.
E basterebbe l’ultima scena di un orizzonte infinito con cui si chiude lo spettacolo: un paesaggio acquatico creatosi sotto i nostri occhi dalle pedane rumorosamente divelte e accatastate dagli stessi performer, fino a formare due montagne con al centro una minuscola fontana da dove sgorga dell’acqua che inonda il palcoscenico. Un uomo con un secchio e uno straccio, lentamente cerca di asciugarlo, mentre un altro è sdraiato tranquillamente ad osservare il panorama dal tenue chiarore all’orizzonte e dal lieve riverbero che via via va definendosi. Un’altra figura, camminando sulle pedane rocciose, si avvia verso la porta laterale della grande parete frontale ed esce lanciando un ultimo sguardo su quello scenario.
Nell’emozionante silenzio che regna, rimane la silhouette dell’uomo immobile, di spalle, mentre la luce lentamente si spegne su quell’idilliaco universo. Spiaggia, lago, o un altro pianeta. Nelle quasi due ore che precedono quest’ultima scena, si dipartono molteplici suggestioni evocative, un retaggio arcaico che ha come riferimento i chiaroscuri del mito del Minotauro. Il toro è ricostruito a grandezza naturale e fatto muovere dagli stessi performer simulando zampe e muscoli, riproducendo la lingua con un semplice movimento della mano, domandolo, assecondandone la natura scalcinante, carezzandolo e abbeverandolo a un secchio.
A turno alcuni danzatori indossano una testa con le corna, altre figure entrano ed escono da una porta con scalini come se si provenisse e si andasse in mondi ed epoche diverse fino alla nostra. Sempre da quell’uscio fuoriescono minacciosi e inarrestabili, anche enormi blocchi di pietra con i quali innalzare e far crollare muri e fortezze, sopra i quali ruotare stando in equilibrio.
Tutta la scena è uno spazio mentale, onirico, un campo di battaglia che, sulla musica barocca di Vivaldi appena accennata, accoglie la leggerezza magrittiana di omini con un palloncino al posto della testa e le movenze alla Jacques Tati, tutti indaffarati con scale aperte e chiuse dove salire per aggiustare un neon intermittente collocato sulla parete come se fosse l’occhio di un dio che osserva dall’alto. Scena che mostra corpi nudi e vestiti dare vita a sequenze plastiche e pittoriche; comporre la Venere di Botticelli dentro una vasca zampillante d’acqua, e una partoriente Madonna con Bambino di fattura rinascimentale; quella moderna del pittore Yannis Tsarouchis (di cui è stato allievo Papaioannou), quella vascolare e statuaria della classicità greca, e quella di mostriciattoli alla Jeronimus Bosch nei due corpi attorcigliati che avanzano a quattro zampe tenendosi alle caviglie.
E ancora figurazioni che rimandano al Ratto d’Europa o a Pasifae (una lunare donna nuda sdraiata sul dorso del toro), a un uomo-sirena boccheggiante emerso dall’intrecciare le gambe e le lunghe scarpe, e spruzzato d’acqua; ad altri esseri ibridi, creature umane o deformi. C’è molto altro nel surreale susseguirsi di Transverse Orientation, un viaggio dal caos alla metamorfosi del sogno, dal buio alla luce di un mondo nuovo.
Come si evince non c’è narrazione esplicita, ma un flusso d’arte di azioni poetiche, misteriose, divertenti, fantasiose, che annullano il tempo e lo spazio mostrandoci lo scorrere della vita. Come solo Papaioannou sa fare. Tutto questo grazie anche ai suoi performer, da citare tutti: Damiano Ottavio Bigi, Šuka Horn, Jan Möllmer, Breanna O’mara, Tina Papanikolaou, Łukasz Przytarski, Chritos Strinopoulos, Michalis Theophanous.