04 novembre 2023

La spiritualità tra le pieghe del corpo, Cultus di Roberto Zappalà

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Al festival Visavì di Gorizia, Compagnia Zappalà Danza presenta Cultus, un nuovo, luminoso lavoro per ricercare la spiritualità tra le pieghe del linguaggio coreografico

La versatilità della scrittura musicale di David Lang si deve anche all’aver saputo raccogliere dai maestri del passato generi lontani rinnovandoli nello spirito attraverso una densa metamorfosi del linguaggio e del senso, che avvicina contemporaneamente il passato ed il presente. Così è di The Little Match Girl Passion, opera del 2007 per quartetto vocale e percussioni che ha come riferimento la Passione secondo Matteo di Bach. Attraverso l’associazione tra il tema della passione di Cristo e la storia infantile della Piccola Fiammiferaia di Hans Christian Andersen, il compositore crea una dimensione profondamente introspettiva della celebre fiaba, volendoci immedesimare nella sofferenza della fanciulla durante la fredda e rigida notte d’inverno.

Il fascino della musica e la doppia articolazione di significati hanno ispirato il coreografo Roberto Zappalà per la sua ultima creazione Cultus (debutto assoluto con la Compagnia Zappalà Danza al Festival Visavì di Gorizia) parola che nella sua etimologia s’intende come “cura”, o “coltivare”. Della cura del corpo, coltivato quale strumento puro, unico e profondo di espressione, comunione e comunicazione, il coreografo catanese ne ha fatto il suo credo creativo, declinato in una danza astratta sempre pulsante, pregna di senso.

Lo ritroviamo anche in Cultus, concetto da cui muove Zappalà per indagare la fragilità e la caducità dell’uomo di oggi, e di sempre, del quale prendersi cura, colto nella sofferenza della violenza, della guerra, della morte. Affida l’inizio dello spettacolo alle voci registrate di attori inglesi – anche quella di Al Pacino – che declamano versi d’amore tratti dai Sonetti di Shakespeare, sulle quali i singoli danzatori, dai costumi di colori e parrucche sgargianti, improvvisano singole sequenze di movimenti distribuendosi in tutto lo spazio, dapprima con pose scomposte e sbilenche, poi sempre più articolate e all’unisono con gesti delle dita che indicano diverse parti del corpo, come a sottolineare la comune origine che ci fa umanità. La musica popolare di una mazurca li coglie in un festoso e lungo ballo, interrotto bruscamente da colpi netti e suoni cupi, e dalla voce di Chaplin che ripete le celebri parole del Grande Dittatore, mentre nel gruppo un uomo avanza con gli occhi bendati, successivamente liberati.

Nella danza che evolve sempre più coralmente – e trasformata anche negli unificanti costumi bianchi -, tra pose bloccate, scatti repentini, trascinamenti a terra, respiri ritmati, i movimenti plastici, specie delle braccia, si elevano via via in posture ariose, estatiche – rese luminose dalle magistrali luci -, che preludono ad una visione beatifica e di rinascita dove il dolore è ormai trasfigurato. Lo esprimono i danzatori sui versi finali di Nello Calabrò: «Il corpo mi abbatte. Gli occhi mi sollevano. Il corpo è leggero. Lo sguardo è profondo. Il corpo è fermo. Gli occhi brillano. Il corpo è protagonista. Lo sguardo danza. Lo sguardo mi stordisce. Tutto si ferma. Tutto si muove. Tutto scorre. L’eternità è qui. L’eternità era. L’eternità sarà. L’eternità cos’è? L’eternità è sempre. Eternità per sempre. L’eternità è qui. L’eternità era Eternità. Per sempre».

Che Zappalà attinga a una dimensione di spiritualità e la esprima tra le pieghe fisiche del suo linguaggio coreografico, è palese in quasi tutti i suoi spettacoli. Qui è ancor più manifesta, e fa di Cultus una nuova luminosa creazione.

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