31 marzo 2022

Le stagioni dei sentimenti del poeta W.H. Auden, nella danza di Fredy Franzutti

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Sulla musica di Vivaldi e di John Cage, il coreografo e regista del Balletto del Sud, Fredy Franzutti, crea un originale omaggio allo scrittore e poeta inglese W.H. Auden

Le quattro stagioni, Balletto del Sud, foto Gabriele Emiliano

Tradizione e contemporaneità. Letteratura, musica, danza, teatro e arti visive insieme. Una commistione di linguaggi, stili ed epoche, di stratificazioni anche cronologiche, per un fitto dialogo tra le arti. È la “messa in danza” (con l’Orchestra sinfonica Oles e il Violino dell’ucraina Alina Komissarova) de Le quattro stagioni del coreografo Fredy Franzutti per il Balletto del Sud (al Teatro Apollo di Lecce). Lo spettacolo nasce da una felice intuizione, da un connubio tra le poesie del Premio Pulitzer W.H. Auden e la celeberrima musica di Vivaldi, compresa un’incursione nelle metropolitane Seasons di John Cage, e il vivace apporto scenografico della pittrice transavanguardista Isabella Ducrot. L’originale e illuminato raccordo tematico creato da Franzutti, lega e unisce mondi culturali e artistici differenti.

Le quattro stagioni, Balletto del Sud, foto Gabriele Emiliano

Il suo lavoro trova fondamento nel “sentire” vitale del poeta inglese (naturalizzato statunitense nel 1938), che identificava nel ciclo naturale delle stagioni l’alternarsi dei sentimenti e lo scorrere esistenziale dell’uomo: quello dell’”ignoto cittadino” che egli riconosceva nell’uomo comune, colui «Che il potere modella come cera, l’industria sfrutta come servi, e l’arte canta come eroi», scriveva per l’appunto Auden, voce critica della società americana. Nella libertà espressiva della partitura coreografica rivivono in scena passioni, miserie e paure, e le diverse fasi dell’inquieta vita di Auden, attraverso alcune sue poesie (presenza polarizzante l’attore Andrea Sirianni), rese plasticamente da un ricco immaginario della cultura americana di segni visivi, figure fumettistiche, personaggi, citazioni.

Le quattro stagioni, Balletto del Sud, foto Gabriele Emiliano

Concepita a quadri, la danza fluisce come una parade ricca di sequenze corali, di duetti, quartetti, assoli. Troviamo Topolino e Minnie (i danzatori Robert Creach Chacon e Alice Leoncini) in provocanti movimenti che palesano la degenerazione delle icone pop; due marinai tormentati da un’impossibile relazione amorosa (Christopher Vazquez e Chacon), che sembrano palesarsi da una foto di Jean Paul Gaultier; la figlia ebrea di Thomas Mann, Erika (Nuria Salado Fustè), che Auden (Matias Iaconianni) sposò per salvarla delle persecuzioni razziali. E poi, il quartetto in costume da bagno, cultore del trionfo sportivo; i vigorosi uomini del sud; il muscolare e ironico assolo di un ragazzo in slip a stelle e strisce (il cubano Alex De Armas), e con la bandiera sventolante tenuta orgogliosamente in posizione statuaria.

Le quattro stagioni, Balletto del Sud, foto Gabriele Emiliano

Nella costruzione coreografica, se la primavera è un turbinio di danza festosa, circolare, guizzante, che rimanda al mondo hippy anche nei floreali costumi colorati, l’autunno, tinto di ocra, vive di più meditative atmosfere, vibrante di riferimenti gestuali alla variegata modern dance (Graham, Limon, Ailey…). Ci si avvicina al finale con un toccante assolo, interpretato da Alexander Yakovlev, sulla poesia Funeral Blues, elogio funebre al compagno scomparso, che ascoltiamo anche da un’incisione della voce dello stesso Auden. Fa seguito un’esplosione di bianco con tutta la trascinante, eccellente compagnia, che investe lo spazio di articolati intrecci, per poi schierarsi, infine, ad ascoltare gli ultimi versi del poeta: «Pensavo che l’amore fosse per sempre. Era un’illusione. Offuscate tutte le stelle perché non le vuole più nessuno. Buttate via la luna, tirate giù il sole e svuotate gli oceani e abbattete gli alberi, perché da questo momento niente servirà più a niente».

Le quattro stagioni, Balletto del Sud, foto Gabriele Emiliano

Operazione colta e popolare allo stesso tempo, questa di Franzutti, che non ha eguali in nessuna trasposizione coreografica della celebre partitura vivaldiana. Da elogiare. Da vedere e rivedere.

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