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L’idiota di Dostoevskij rivive nella danza di Saburo Teshigawara
Danza
Impresa enorme, se non impossibile, voler rappresentare il gran romanzo di Fedor Dostoevskij, L’idiota, in una forma di danza non narrativa. Ancor più se astratta, sintetizzata in un tempo breve, e con due soli interpreti. Possono riuscirci solo i grandi coreografi e danzatori, quelli che nel loro corpo e nel pensiero hanno maturato il gran bagaglio dell’esperienza umana e artistica, tale da arrivare alla sintesi e al senso profondo racchiuso ed espresso nel movimento. I giapponesi Saburo Teshigawara e Rihoko Sato, lui settantenne e lei poco meno, coppia storica e maestri indiscussi della scena coreutica internazionale, riescono mirabilmente a tradurre sulla scena un distillato della storia del principe Myshkin, – uomo tanto spiritualmente buono e nobile quanto ingenuo e inesperto della vita – focalizzandola sul rapporto amoroso e travagliato con Nastas’ja Filippovna, i due personaggi principali che lo scrittore russo immortalò sulle sue pagine. Teshigawara le traduce incarnandole, con la sua peculiare scrittura fisica, nel movimento contenuto all’interno delle parole restituendoci l’essenza emotiva, quella sì, dell’opera. Nessun testo, nessun racconto didascalico. Solo pura danza, che include echi di Butoh e di Kabuki.
«Voci silenti che si sentono tra le parole, urla e gemiti, mormorii e sussurri, tutto diventa movimento e danza», asserisce Teshigawara. Nel suo spettacolo The Idiot (all’Arena del Sole di Bologna, nell’ambito di CARNE – focus di drammaturgia fisica), creato nel 2016, anche se non si conosce l’intreccio del complesso romanzo di Dostoevskij, e si prescinde da esso, ci arriva tutta la pregnanza, in un duetto danzato, di una poetica, contrastata storia d’amore con quei sentimenti di gioia, sconforto, passione, dolore e solitudine che la animano. Ammantati di echi lontani, i movimenti fluidi, sfumati, vorticosi della coppia di danzatori, lasciano scie luminose nello spazio, lo cesellano nei dettagli dei gesti scolpiti o sciolti, lo espandono con tutti gli arti vibranti del corpo che “raccontano” i moti dell’anima. A suscitarli è anche, sulla nuda scena, un sapiente gioco di luci – firmate, insieme ai costumi bianchi e neri, dallo stesso coreografo – che evocano atmosfere ora drammatiche ora luminose, ora intime ora sospese.
La coppia si divide gli assoli, lui esprimendo le diverse sfaccettature di Myshkin, l’alterigia, l’innocenza, la bontà, l’epilessia, l’innamoramento, il misticismo, la follia; lei l’orgoglio, l’eleganza, la severità e la riservatezza della donna amata e negata (ipnotiche le braccia fluttuanti di Rihoko Sato, l’elasticità delle gambe e dei piedi che sembrano non toccare terra). Tra volteggi e giri di valzer, fughe e ritorni, il corpo sussulta, si abbatte a terra, s’invola, cerca il contatto, si confonde; le mani tremano nevroticamente, svolazzano come farfalle; le gambe vacillano, si irrigidiscono; il volto s’incornicia in visioni beatifiche; e il ballo continua fino a quando le due solitudini si sfiorano appena per riprendere traiettorie diverse, attraversate, di tanto in tanto, dall’intrufolarsi velocissimo di un grosso topo nero dalla lunga coda, che rompe le sequenze.
La danza vive di un tessuto musicale che va da Debussy a Tchaikovsky, da Chopin a Shostakovich, Schubert, Balance, Peter Christopherson, Drew McDowall, Bach, Tartini, rotto dal mix sonoro di ingranaggi stridenti, di percussioni, schianti e scampanellii, e dal ripetuto, vertiginoso Valzer n. 2 di Shostakovich. La qualità dei due danzatori è sorprendente, la leggerezza e l’energia che essi sprigionano, se si pensa anche all’età, va oltre l’immaginazione. Corpi che sembrano smaterializzarsi e subito tornare nuovamente a esistere. E le pur ripetizioni di movimenti che potrebbero rallentare l’attenzione, non tolgono nulla alla fascinazione di una danza stilizzata, poetica, misteriosa, che filtra solo bellezza.
Il poliedrico artista giapponese Saburo Teshigawara prosegue la sua breve tournée italiana – dopo il Teatro Regio di Parma e l’Arena del Sole di Bologna – il 19 aprile al Teatro Ponchielli di Cremona con Ophelia, il 26 al Teatro Ristori di Verona, e il 30 aprile al Teatro del Giglio di Lucca con Adagio (qui la nostra recensione).