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Lugano Dance Project, prima edizione con il debutto di Virginie Brunelle
Danza
La rivoluzionaria comunità danzante fondata nel 1913 sul Monte Verità, presso Ascona, in Svizzera, dall’ungherese Rudolf von Laban, teorico della danza libera, è stato il tema di “Lugano Dance Project”, festival di danza contemporanea alla sua prima edizione, curata da Lorenzo Conti. E a quel luogo dell’utopia, celebre collina dove s’intrecciarono i destini d’intellettuali e artisti del Novecento, è ispirato Fables di Virginie Brunelle, spettacolo in prima assoluta commissionato dal direttore artistico Carmelo Rifici del LAC di Lugano, alla coreografa canadese.
Stimolata durante il processo creativo dalla riflessione sulle prime correnti femministe nate nell’epoca coeva al Monte Verità, e dal chiedersi cosa sia rimasto oggi di quelle conquiste, Brunelle costruisce un excursus a quadri di diverse epoche attraverso una narrazione contemporanea, con al centro immagini metaforiche di donne colte nella loro storia archetipica e generazionale: nel dolore del sopruso, nella resilienza, nella lotta per affermarsi in un mondo dominato dal maschile. Di loro Brunelle mostra, con una cifra di danza caratterizzata dall’emozione cruda degli interpreti e dall’umanità dei soggetti affrontati, il disincanto, l’estasi, le crepe, la fragilità.
In una successione di tableaux vivant dal potente impatto visivo e di movimento, irrompono inizialmente duetti energici caratterizzati da braccia come lame che affondano nel corpo dell’altro. Nell’affollarsi della scena, le coppie si alternano scandendo i loro gesti ansimanti, il cui respiro è amplificato dalla lunga asta di un microfono tenuta in mano da un uomo che insegue a sua volta gli spostamenti delle coppie. La userà anche come arma ruotandola nell’aria, urlando e atterrando tutti. Denudatosi, poi rivestito di un abito luccicante da due figure in nero, si ergerà su un piedistallo dentro un fascio di luce, assumendo pose di dominio, poi estatiche.
Al silenzio iniziale e all’irrompere di una musica martellante, subentra per tutto lo spettacolo, la composizione live per pianoforte di Laurier Rajotte. Il racconto di Brunelle (che si avvale della consulenza drammaturgica di Nicolas Berzi) vive di un peculiare teatro-danza e di molteplici influenze coreografiche, che ritroviamo, ad esempio, nel ritratto di una coppia di sposi con la vestizione della donna di un enorme abito e di un velo mosso a festa o come un mare ondoso, mentre attorno a lei si consuma un freddo rito di ventre sottomesso, poi partoriente, dal quale fuoriescono, rotolando e rientrando, figure nude.
Ad Alvin Nikolais e alle sue forme in movimento rimanda la sequenza in cui il gruppo tiene legata a una ragnatela di lacci una donna che, trascinata, sollevata, atterrata, si divincola in più direzioni affermando il desiderio di libertà. Alla Batsheva di Decadance rimanda invece la lunga sequenza finale, con l’ensemble dei dodici danzatori vestiti tutti di paillette, ciascuno con un proprio sgabello posizionato sul quale siede, ruota, saltella, fino a danzare all’unisono. I corpi scivolano a terra, si librano, si contraggono, sublimemente fluidi, energici, in un crescendo sempre più veloce e compatto. Una danza quasi tribale, che diventa liberatoria.
Nel ricco programma del festival la svizzera Lea Moro ha presentato la sua nuova creazione Another breath, un lavoro acustico-performativo incentrato sul processo vitale del respirare; mentre la belga Cindy Van Acker ha offerto quattro dei dieci assoli di Shadowpieces, ciascuno creato per un interprete in stretto rapporto con la musica. La lezione-spettacolo di Ana Pi Le tour du monde des danses urbaines en dix villes, più adatta a un pubblico di ragazzi per il carattere divulgativo, illustra con filmati e immagini fotografiche, e accennando alcuni passi di danza supportati da tanto parlare – troppo -, la grande varietà di stili – dall’Hip hop al Krump, al Voguing, alla Dancehall – nati e maturati sulle strade di alcune città del mondo.
La danzatrice e coreografa brasiliana ha poi presentato il suo ultimo lavoro, The Divine Cypher, incentrato sui gesti sacri ancestrali di Haiti e la loro perpetuazione nell’immaginario odierno. Spazio anche alla emergente giovane danza d’autore elvetica con il progetto biennale di Reso-Rete Danza Svizzera dal titolo Tanzfaktor, con quattro compagnie selezionate tramite concorso da una giuria, e fatte circuitare in tutto il territorio. Tra queste, Lisa Laurent e Mattéo Trutat, autori e interpreti di un interessante e divertente Pas de deux, i quali, ispirandosi ad immagini iconiche della cultura pop, mettono in scena un vocabolario di segni gestuali ripresi dal balletto classico privandolo dei suoi artifici. Un lavoro promettente in un auspicabile sviluppo.