In nessun posto e in ogni dove. Oltre la storia e oltre i confini. Quelli vischiosi tra il male e il bene. Quelli tra Oriente e Occidente, tra colpa e innocenza, vittima e carnefice, Eros e Tanathos. Frontiere labili come la possibilità di scelta, come la frontiera tra l’umano e il disumano. E quelli della volontà, senza la quale il buio finirà per divorare la luce. Tratta dal romanzo “La ragazza che non voleva morire”, ispirato a una storia vera e firmato dalla stessa curatrice del libretto, Emmanuelle de Villepin, la produzione del Teatro alla Scala rappresenta un unicum nel panorama teatrale: è la sintesi superiore di melodramma, arte della danza, melologo e teatro musicale.
La calibratissima bacchetta di Michele Gamba dirige l’Orchestra e il Coro scaligero in un’opera totale in cui essenza e sostanza si esprimono fluide, sfuggono alle etichette di forma, ma narrano di mille catene. Quelle del pregiudizio, del fanatismo, della manipolazione. E di limiti. Della coscienza, dell’etica, della morale.
Emmanuelle de Villepin si distacca dal romanzo per innalzare un grido universale sublimato dai raffinati spasmi e delle coreografie di Mauro Bigonzetti, interprete della musica di uno dei più internazionali tra i compositori contemporanei italiani: Fabio Vacchi. Il linguaggio assoluto della danza non lascia scampo, ci coinvolge tutti, nessuno escluso, a memento che la tragedia, la brutalità, la scelta di non reagire o di farlo, è una questione che riguarda tutti. In osmosi con l’impatto simbolico delle immagini proiettate sul ledwall, ritmo e melodia si fanno carne, sudore, fisico. Corpo. Sociale e individuale, secondo una modalità inedita di stare in scena propria della fusione tra tecnologia e corpo. Un corpo oppresso, come quello delle vittime di abusi domestici, come quello delle donne costrette ad immolarsi sull’altare di una società prevaricatrice. Perché di Madina, giovane donna interpretata da una straordinariamente coinvolta Antonella Albano, vittima della spirale di violenza perpetrata dalle truppe di occupazione nel suo Paese e succube dei soprusi fisici e psicologici della sua stessa famiglia, non resta che un corpo.
Madina è una donna che si fa emblema di ogni corpo violato, annichilito. Lo è come matrice perché la sua storia si rifrange nelle singole vicende dei personaggi. E ci coinvolge, in un faccia a faccia con una società tormentata nel suo anonimato di cui esibisce le stigmate. Una società in cui la prevaricazione ha divorato la dialettica dell’empatia. Lo scetticismo diffuso, la paura del diverso, la cecità di fronte al dolore degli altri, sono un problema collettivo.
Madina è potenza espressiva dirompente. Un inedito Roberto Bolle esce magistralmente dalla sua comfort zone per calarsi nei panni del feroce zio. Obnubilato dal disonore arrecato dalla nipote violata e dal fanatismo religioso, la costringe a immolarsi come Kamikaze. Madina vuole essere libera, vuole studiare lingue a Parigi. Vuole vivere. E invece viene portata in un caffè, nella capitale della nazione da cui provengono i soldati che l’hanno violentata. E costretta a indossare una cintura esplosiva.
Terrorizzata e decisa a non morire, attira l’attenzione per difendersi e si libera della cintura. Ma nel tentativo di disinnescare la bomba, l’artificiere muore e Madina viene arrestata. Madina è colpevole come molti innocenti. Rea di non comprendere la sua colpa, di non voler morire, di correre per le strade con la sua amica Zarima. Colpevole di amare la vita. E di avere ucciso a sua insaputa per questo. Deturpata nel corpo e nello spirito dai fumi neri dell’estremismo senza morale. Madina è colpevole di essere tra gli ultimi, mentre nella Parigi emblema del progresso, l’agnostico capo redattore Louis de Monfalcon si rivela scettico sull’ipotesi di occuparsi del caso sottopostogli dall’inviato speciale Antoine. Ma esce dal suo rassegnato distacco grazie all’amore con Olga, l’occidentale zia di Madina. E nel secondo duetto sono le note ad esprimere l’ineffabile e salvifica dolcezza che l’alcova della loro passione sprigiona, mentre avanza la consapevolezza del fallimento: Madina non si salverà, ma il loro amore finirà per salvarli.
Olga è ciò che Madina avrebbe potuto essere. Ma a Madina non resta che un’aria ad esprimere il grumo di rabbia e di quell’amore narcotizzato che lei crede di non sentire più, e che invece sfocia nell’interludio orchestrale danzato successivo, dilaniante. La scrittura musicale è il suo pianto perché il verbo cede al sentimento. Perché come le tenebre non possono vivere senza la luce, così l’odio e l’amore sono facce della stessa medaglia. Ed è proprio la relazione col prossimo, non solo amorosa, ad ergersi come stendardo di speranza e atto di denuncia contro la comunità e la politica.
Il messaggio di Madina sfrutta la brutalità della violenza per condannarla strenuamente e senza eufemismi. Ed è un messaggio tanto più esplicito, quanto più carnale nei corpi dei danzatori che diventano artisti tout court: «L’arte deve porsi il problema della comunicazione. Perché la comunicazione è il motivo stesso dell’esistenza dell’arte. La condizione assoluta è che le forme artistiche coinvolte in questo messaggio siano espresse alla massima potenzialità», afferma Fabio Vacchi.
E in questa produzione sono davvero coinvolte tutte le forme artistiche: accanto a Roberto Bolle e Antonella Albano, in scena Martina Arduino e Gioacchino Starace, nei ruoli di Olga e Louis, Gabriele Corrado nel ruolo di Sultan e gli artisti del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala diretto da Manuel Legris, in un paesaggio teatrale e sonoro abitato dalle voci dell’attore Fabrizio Falco e dei cantanti Anna-Doris Capitelli e Chuan Wang. Luci e scene sono di Carlo Cerri, che cura anche il design video assieme ad Alessandro Grisendi e Marco Noviello, i costumi sono firmati da Maurizio Millenotti con la collaborazione di Irene Monti.
Madina è uno spettacolo appassionante e contemporaneo. Uno spettacolo che regala spunti di riflessione dai quali la società moderna non può più esimersi. Madina ci lascia soli con le nostre domande e le nostre colpe di esseri umani. Soli, come Olga e Louis, a chiederci: Che cosa rimane di noi alla fine di questo giorno?
Per questo, il Teatro alla Scala ha scelto ITsART come piattaforma digitale per dare alla sua diffusione più ampio respiro e regalare l’emozione di una straordinaria esperienza on demand, ovunque si desideri e in qualsiasi momento.
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