Ogni autunno, da 36 anni, MilanOltre porta a Milano la danza internazionale. Abbiamo intervistato Rino De Pace (direttore artistico), Beatrice Capitani (direttrice amministrativa) e Lorenzo Conti (progettista culturale) per qualche domanda su questa edizione, fino al 16 ottobre al Teatro dell’Elfo.
MilanOltre è arrivato alla 36ma edizione. Siete uno dei festival di danza più longevi e importanti in Italia. Cosa vuol dire avere la responsabilità di portare avanti una manifestazione di questo tipo?
RDP: «Bisogna sempre essere sul pezzo e mantenere la tradizione che ci contraddistingue, ovvero osservare e proporre una universalità di linguaggi. E poi dal 2010 ci siamo attestati sull’esclusività della danza, ma con contaminazioni e nuove tendenze, affermando MilanOltre come il punto di riferimento per il settore».
BC: «Per chi è entrato in squadra in un secondo momento, lavorare a MilanOltre vuol dire avere rispetto dei 36 anni di storia del festival, quindi avere cura e tenere ben presente tutto quello che è stato fatto, costruito, e dell’intensa identità che lo caratterizza, provando comunque in punta di piedi a portare innovazione e un vento nuovo alla manifestazione».
Il tema di quest’anno è “Back to the future”, che cosa significa e come lo portate in scena?
RDP: «Il tema ci riallaccia all’idea di lasciare alle nuove generazioni l’importante eredità di un festival storico. Il titolo accompagnerà il festival per tutto il triennio 2022-2024 e ci riporta alla prima edizione del 1986, per creare una sorta di arco temporale tra ieri e oggi, per focalizzarci sull’idea di ricambio generazionale e sul rinnovamento, sia interno della nostra struttura sia in ambito creativo. Per esempio il progetto Affollate Solitudini Teens è interamente dedicata agli studenti degli ultimi anni dei centri di formazione coreutica della città con cui abbiamo instaurato significative collaborazioni: gli adolescenti sono invitati a creare un assolo di cinque minuti da poi portare in scena a teatro, quindi a misurarsi con un contesto professionale e inseriti democraticamente nel festival. A livello internazionale abbiamo avviato una partnership con il Suzanne Dellal Centre di Tel Aviv, e arriveranno al festival sei giovani coreografi israeliani con otto creazioni, incontreranno gli studenti per delle masterclass e ci sarà una intera giornata di scambio creativo e culturale. Una occasione anche per intessere nuove reti».
Il pubblico della danza è il grande dilemma. Come si sta muovendo MilanOltre sulla questione dell’audience?
LC: «Viviamo in un mondo totalmente stravolto, quindi lavorare in un festival implica riflettere su quali siano gli obbiettivi di quel festival. Ancor prima della pandemia MilanOltre aveva iniziato una profonda riflessione sul problema del pubblico: l’elemento fondamentale è partire dalla nuove generazioni, attraverso masterclass e lavori mirati, per favorire ricambio e formazione. La sfida sarà riuscire a mescolare i pubblici che stiamo attivando e considerare lo spettatore come persona che ha desideri, pulsioni, necessità, e attivarlo anche fuori dalla sala teatrale. Penso per esempio a MilanOltre view, il progetto di visione e scrittura che la rivista Stratagemmi porta avanti da diversi anni. Un tentativo di contaminazione in questa direzione ci sarà in occasione della giornata di scambio Italia-Israele, in cui faremo incontrare artisti, scrittori, studenti e ricercatori per costruire dei discorsi intorno al corpo, alla danza e all’arte.
Quest’anno inaugura anche il progetto Dance Circle, nell’ambito della rete Dance Card. Per coinvolgere maggiormente il pubblico ci siamo interrogati su come creare uno spazio di condivisione e scambio tra artisti e pubblico. Abbiamo pensato a due momenti di dibattito, uno che precede lo spettacolo, con una introduzione di uno specialista invitato a dare una chiave di lettura rispetto al tema drammaturgico e aprendo a nuovi mondi come l’architettura, la psicologia, la religione…E un momento a seguito dello spettacolo, di confronto con il pubblico».
BC: «Stiamo compiendo lunghe analisi sui punti saldi della nostra audience e stiamo creando delle strategie per coinvolgere i giovanissimi nel festival come partecipanti attivi. Da qui è nata una ricerca con l’Università Cattolica di Milano tesa a mappare le abitudini culturali sia dei giovani sia del pubblico in generale e capire come la danza possa diventare un elemento di benessere, di incontro e di scambi rituali sociali. L’obiettivo è avere poi gli strumenti reali per poter portare avanti uno scambio intergenerazionale concreto».
Una delle peculiarità di MilanOltre è proprio l’internazionalità che portate in scena. C’è un fil rouge nella scelta degli spettacoli?
RDP: «Ci sono state delle edizioni tematizzate, per esempio il biennio 2020 e 2021 intitolato Dal Bacino del Mediterraneo alla Via della Seta, nasceva dalla mia necessità di creare un ponte tra questi due angoli di pianeta, perché avevo visto dei progetti di artisti che si trovavano agli antipodi, geograficamente parlando, e mi era venuta l’idea di creare un collegamento ideale tra il nostro emisfero e quello orientale, prendendo come bacino comune quello del Mediterraneo. Noi siamo sempre in movimento e alla ricerca di novità, spunti e riflessioni, vediamo tante cose che poi non sfruttiamo subito, ma le mettiamo in un cassetto per il momento buono. Abbiamo la possibilità di lavorare senza pressioni, con la massima libertà di esprimere le nostre esigenze in quel determinato momento. Spesso siamo noi a proporre gli artisti e abbiamo sempre incontrato dall’altra parte entusiasmo e disponibilità riguardo le nostre proposte. Per esempio nel 2023 avremo un focus sull’Olanda».
BC: «Proviamo a tracciare delle geografie e delle geopolitiche, mettendo in atto una vera coprogettazione internazionale. Essendo noi una realtà del terzo settore, sentiamo il bisogno di innestarci tra il pubblico e gli artisti, quindi tracciando linee e ponti tra la comunità e la creazione artistica. Spesso è tutta questione di geopolitca! Una delle pubblicazioni che presentiamo è proprio Confini conflitti rotte – Geopolitica della danza, di Elisa Guzzo Vaccarino per la collana Bermudas curata da Rino, è dedicata proprio a questo, ovvero quanto le tradizioni di un paese vadano a influenzare le poetiche artistiche, quindi tracciare fili è per noi super interessante».
Quali sono gli appuntamenti imperdibili per i prossimi giorni?
RDP: «Domenica 9 c’è il trittico firmato dal giovane coreografo francese Noé Soulier: Portrait of Frédéric Tavernini, percorso fatto insieme al danzatore Frédéric Tavernini, e Le Royaume des Ombres e Signe blanc, dittico nato per Vincent Chaillet primo ballerino dell’Opera de Paris. Poi tanti italiani come Enzo Schiavulli, uno dei nomi più significati della new italian dance platform di quest’anno che debutta qui da noi con Heres: nel nome del figlio. Poi in chiusura oltre al focus Israele, ci saranno Manfredi Perego il 16 ottobre e Louise Lecavalier il 14. Questo per esempio è un ritorno al futuro, perché Louise era già stato a MilanOltre nel 1986 e da allora è rimasto sulla cresta dell’onda».
La danza è da guardare, ma anche da leggere. Che cos’è Bermudas?
RDP: «In occasione del nostro 30° anniversario con la casa editrice Scalpendi abbiamo pubblicato un catalogo per ripercorrere la nostra storia. Da lì l’editore mi ha proposto di curare una collana dedicata alla danza contemporanea. Ho chiesto di poter essere totalmente libero nelle scelte per offrire una ampia offerta di autori e argomenti: come indossare un abbigliamento informale che consente libertà di movimento. Da qui l’idea di Bermudas. Dal 2017 ho iniziato a immaginare volumi interessanti per addetti ai lavori, ma non solo, per dare a tutti la possibilità di avvicinarsi alla danza anche attraverso la lettura».
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