Trae ispirazione figurativa da iconografie del passato e contemporanee. Dalla classicità scultorea di Santa Cecilia del Maderno ritratta distesa, all’estasi di Ludovica Albertoni, alle donne danzanti di mosaici romani, e altre sculture; per arrivare al presente, ai gesti di braccia incrociate sulla testa (divenute simbolo della “Rivoluzione degli ombrelli” cinese del giovane attivista Joshua Wong) e a quelle dietro la testa e stando in ginocchio (degli studenti francesi fatti accovacciare dai poliziotti durante una manifestazione pacifica nel dicembre del 2018). Tutti scenari di proteste e feste. Nessuna narrazione però, ma solo materiale di ricerca posturale cui attingere, per una danza astratta e fuori dal tempo, per la nuova creazione di Simona Bertozzi Tra le linee (presentata in prima assoluta a Torinodanza, commissione Estovest 2020), coreografa e danzatrice di grande rigore tecnico, duttilità, energia. I cinque interpreti (Manolo Perazzi, Sara Sguotti, Giulio Petrucci, Oihana Vesga e la stessa Bertozzi) li troviamo ciascuno celato a terra sotto un cellophane trasparente come cinque solitarie isole galleggianti, o particelle di un organismo pulsante, che da lì a poco emergeranno verticalmente prendendo vita, e, via via, osservati a turno dagli altri.
La scrittura coreografica di intrecci, incontri, dialoghi di più linee, si innesta nella forma musicale della “fuga” (composizione strutturata in base a procedimenti imitativi a canone) di Beethoven – Die Grosse Fuge op. 133 -, del compositore Wolfgang Rihm – Zwischen den Zeilen -, e del violoncello elettronico di Riccardo Perugino – Ad Io -. Questa partitura, eseguita dal vivo dal quartetto d’archi NEXT New Ensemble Xenia Turin, diventa paesaggio di ascolto, di attenzione, di sorpresa, per far emergere posture, gesti, movimenti generati dai singoli danzatori ricercando ciascuno una propria linea che possa congiungersi a quella degli altri. È ricerca e scoperta di nuovi equilibri, di un assestamento continuamente disgregato e ricomposto in posizioni e attraversamenti dello spazio scenico senza trovare un punto fermo e senza mai toccarsi (sembra essere questa, ormai, la modalità, ahimè, richiesta alla danza). La tessitura delle azioni dentro un perimetro chiaro, sconfina nella tensione di accordo e relazione tra i corpi, di intercettazione reciproca, per farsi respiro comune tra piegamenti ed estensioni. Il linguaggio della Bertozzi si caratterizza, qui, per verticalità e orizzontalità, per inclinazioni continuamente rovesciate a terra, salti paralleli, rotolamenti e incrinature disegnate nello spazio che trovano linee comuni, e respiro, nei momenti all’unisono di duetti e coralità. Non senza fatica si segue l’andamento dello spettacolo, forse per un eccessivo frastagliamento tra entrate e uscite, svuotamento e riempimento, assoli e posizionamenti su più lati, che disperdono la compattezza di una visione globale. E un finale rarefatto che ci sembra monco.
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