Si è chiusa, il 2 settembre, la settima edizione di NID – New Italian Dance Platform Cagliari 2023, dal titolo Fluidity. Spazio corpo movimento. La piattaforma della danza contemporanea italiana, il cui obiettivo è mostrare e promuovere, specialmente a livello internazionale, la coreografia italiana odierna, in quattro giorni ha visto oltre 400 presenze tra operatori nazionali e internazionali, artisti, giornalisti, tre panel per riflettere su diversi aspetti della danza, 17 spettacoli in palinsesto tracciando il proprio percorso artistico.
Le due sezioni di NID Platform hanno visto in scena – scelti tra le 168 proposte arrivate attraverso un bando, poi selezionate da una commissione formata da organizzatori italiani e stranieri, che determina l’andamento della manifestazione – otto spettacoli per gli Open Studios, embrioni di spettacoli in fieri, non ancora definiti, e otto per la sezione Programmazione: pochi quindi rispetto alla varietà , non solo numerica, della lista dei partecipanti.
Due le novità inserite nel palinsesto: la produzione ospite di Un discreto protagonista di Ottavio Damiano Bigi e Alessandra Paoletti, e, per il progetto “fuori formato” ideato per spazi non teatrali, con il coinvolgimento attivo del pubblico e l’interazione con dispositivi tecnologici e/o sensoriali e installazioni, Atmosferologia. Veduta>Cagliari di Michele di Stefano, presentato nel Piazzale del Bastione di Saint Remy.
Archiviati i numeri, il plauso all’organizzazione per la grande macchina organizzativa messa in moto, e la soddisfazione, d’obbligo, per le istituzioni presenti, qualche considerazione in merito ai contenuti della ricerca coreografica contemporanea e alle scelte operate dalla commissione selezionatrice e dai loro criteri, va fatta, pur nel rispetto di opinioni opposte, altri giudizi, vari ed eventuali. Balza subito agli occhi che quanto visto in scena, nella diversificazione delle proposte e dei generi, fa emergere, a mio parere, un panorama afasico, creativamente confuso e autocompiaciuto, in fin dei conti omologante, indubbiamente non rappresentativo della migliore danza contemporanea italiana. Se poi aggiungiamo la parola “nuova” – presente nel titolo NID, e nelle intenzioni programmatiche -, allora bisogna sottolineare che c’è tanto di già visto se non addirittura di datato, mentre altri sono fermi a un mero esercizio di composizione (uno per tutti Plein air di Marina Donatone).
Vige inoltre in quasi tutti i lavori (eccetto alcuni: ad esempio Roberto Tedesco col suo Decisione consapevole con la brava Laila Lovino e il supporto di un video con i quattro interpreti del lavoro finale che fa intuire il potenziale in atto della coreografia; Nicola Galli con il performativo Deserto tattile; Fabrizio Favale con Danze americane, un omaggio alle tecniche dei grandi maestri), presentati agli Open Studios, una diffusa concettualità  che sembra rifiutare, nella sua logica, l’idea stessa di coreografia, se non di danza. E in generale, considerando anche la sezione Programmazione – ovvero quegli spettacoli completi che hanno già debuttato, e valutati i più “rappresentativi” del nostro Paese tersicoreo -, alcuni di questi soffrono di una eccessiva dilatazione di tempi e sequenze (vedi soprattutto Greta on the beach di Francesca Foscarini e Cosimo Lopalco), di ripetitività e cali di tensione, di deboli idee drammaturgiche; e, bandendo pure la relazione emozionale, sembrano non voler tenere conto del pubblico, cioè di quello spettatore che ogni creazione dovrebbe necessariamente avere o almeno considerare.
Quanto visto nei giorni cagliaritani non ci sembra corrispondere al vero stato di salute della danza italiana, realtà eterogenea e frastagliata nella pluralità dei linguaggi performativi, e con autori e formazioni più che mature per originalità , stile, tecnica, e idee, che avrebbero meglio rappresentato lo scenario italiano. Seppur comprensibile la difficoltà della selezione che avviene attraverso materiali video, occorrerebbe, chissà , un ripensamento strutturale della piattaforma.
C’è da notare, ancora, che all’interno della commissione manca la figura del critico, “avventore” abituale di spettacoli, che di danza ne vede tanta, la frequenta, la valuta, la osserva in tutte le sue forme e linguaggi, e quindi in grado, accanto alle altre autorevoli figure, di portare uno sguardo in più. E perché no, introdurre anche quello di un paio di coreografi. Considerando, inoltre, la scelta di Cagliari come sede di questa edizione, è mancata la presenza di una compagnia di danza rappresentativa di questa parte d’Italia o autori del territorio (e ce ne sono).
Non è bastato l’interessante e ricco incontro tenuto da Fabio Acca che ha tracciato e documentato, con l’aggiunta degli interventi di alcuni protagonisti di oggi, la storia e lo sviluppo fino ai nostri giorni, della danza in Sardegna che ha una tradizione relativamente giovane e un fermento molto vivace.
Insomma, una Vetrina che ha animato discussioni, e il cui esito reale lo vedremo nel corso del tempo, quel tempo fluido come lo è il corpo, il movimento, lo spazio.
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