Due grandi sfere sospese a pochi centimetri da terra, illuminate appena da uno spot mobile, iniziano a oscillare. Seguendo quel moto e sfiorandole, con movimenti rotatori due danzatori entrano ed escono dal quadrato al centro dello spazio scenico. “Tutti i corpi gravitano vicendevolmente l’uno verso l’altro”. È semplicemente racchiuso in questa nota asserzione di Isaac Newton, il senso di “Principia” di Alessio Maria Romano (debutto al Teatro Astra di Torino, produzione TPE-Teatro Piemonte Europeo), una coreografia per due soli interpreti dal differente stile, Mattéo Trutat e Francesca Linnea Ugolini, lanciati in un continuo movimento che possiamo immaginare tra stelle, pianeti, cellule, molecole, o solamente tra corpi alla deriva, fluttuanti nel vuoto, in cerca di attrazione. Lo spettacolo nasce da una lunga esplorazione e studio drammaturgico – del coreografo insieme a Linda Dalisi, e con la consulenza scientifica di Enrico Trincherini – intorno al testo dei Principia matematici del grande scienziato dove vennero enunciate le leggi della dinamica e della gravitazione universale.
«L’analogia che moltissimi studiosi fanno fra il movimento delle stelle e dei pianeti – dichiara il coreografo -, ma anche degli atomi e delle particelle e la danza, l’intensa complessità delle traiettorie viene tradotta con un’immagine poetica ovvero con la visione di una sorta di “ballo”». La restituzione coreografica di Alessio Maria Romano con una sua ammaliante forma, esula dal voler rappresentare temi prettamente astrofisici, bensì trovare una intersezione tra danza e fisica per dare volo all’immaginazione con quell’approccio allo spettacolo che sembra suggerirci una frase di William Forsythe “Benvenuti a ciò che credete di vedere!”, riportata in una mappa concettuale come programma di sala insieme ad altre espressioni e formule.
Sono parole, quest’ultime, immaginate come provenienti dalla calotta di un grande telescopio, che ascoltiamo dalla voce off di un’ipotetica astrofisica intenta a scrutare le anomalie dello spazio profondo, voce in dialogo con i corpi dei danzatori. Il frac e il lungo abito nero che essi indossano li identifica come Fred Astaire e Ginger Rogers.
Alla celebre coppia e ai loro balletti s’ispira il coreografo, identificando in loro il gioco di attrazione e respingimento tra i corpi celesti. Li attira la misteriosa “materia oscura”, li muove la ricerca dell’altro, li spinge il bisogno di unione. Sulla partitura sonora elettronica di Franco Visioli, i due magnetizzano il nostro sguardo nel loop turbinoso creato dalle traiettorie dei loro movimenti autonomi, in linea o in direzioni opposte. Sono movimenti in parte improvvisati e quasi mai in sintonia, a tratti all’unisono, strutturati in una dinamica di input e reazioni, di avvicinamenti e distanziamenti, di corse, salti, soste, piegamenti del busto all’indietro, cenni di passi classici, valzer, e giri da dervisci, di attraversamenti dentro e fuori il quadrato scenico di Giuseppe Stellato che le luci di Giulia Pastore adombrano o illuminano con l’effetto anche di sospensione nello spazio.
E se i due corpi non sembrano mai toccarsi, il finale li vedrà ricongiungersi, danzare in coppia, trovare unità, infine stagliarsi in un angolo e uscire, mentre le due sfere riattivano il loro moto rotatorio sempre più veloce rilasciando una polvere nera che disegna dei cerchi a terra. Ipnotico, come in un sogno.
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