Non li abbiamo contati, ma è certo che le cinque donne in scena cambiano almeno 40 abiti durante tutto lo spettacolo. Câè una scena in cui se li sfilano uno dopo lâaltro svestendosi dalla catasta di gonne che indossano. Unâaltra in cui li appendono a delle grucce che si alzano sospese; poi sventolandoli per colpire e sfidare, o per passerelle sensuali; usati come stendardi, spazzoloni per pulire a terra, copricapo, burqa, o per balli sociali. Sono abiti femminili di diversi stili, colori, epoche, che sembrano dirci anche una condizione sociale, un tempo della vita, e lo stato dâanimo mutevole di quelle donne. Energiche, combattive, ma anche fragili, romantiche, emancipate o sottomesse, sciatte o seduttive. Sono loro le protagoniste del travolgente spettacolo Maldonne della giovane coreografa LeĂŻla Ka che ha letteralmente trionfato al festival Oriente Occidente di Rovereto, in prima nazionale (atteso il 22 e 23 ottobre al Romaeuropa Festival, e il 26 al Teatro Due di Parma).
Una carriera dâautrice velocissima, apertasi dallâincontro con Maguy Marin che lâha voluta in May B, e da lĂŹ ha preso il volo. La trentatreenne francese Ka, oggi richiestissima ovunque, è presto salita alla ribalta col folgorante assolo Pode Ser, del 2018, seguĂŹto dal duetto Câest toi quâon adore, e da un altro premiato assolo Se faire la belle del 2022. Maldonne, del 2023, è la sua prima coreografia corale, creazione che lâha definitivamente lanciata nella scena teatrale europea. Lâuniverso muliebre di questo variegato, divertente e commovente affresco di danza, ci ricorda in alcuni momenti la teatralitĂ di Emma Dante (il pensiero va alle Sorelle Macaluso), e in altri, nellâuso delle braccia e nella gestualitĂ del quotidiano, le ben stagliate donne danzanti di Pina Bausch.
Le cinque sorelle di Maldonne (in francese âerrore di distribuzione delle carte da giocoâ) sono quelle della biografia di LeĂŻla Ka â in scena insieme a OcĂŠane Crouzier, Jennifer Dubreuil Houthemann, Jane Fournier Dumet, e Jade Logmo -, che cosĂŹ racconta, con una scrittura coreografica rigorosa e vibrante, il loro rapporto e le storie vissute, ricreando quelle dinamiche universali di donne che, quasi sullâorlo di una crisi di nervi, riscattano i luoghi comuni e i pregiudizi sulle molteplici identitĂ Â del femminile e le sue contraddizioni. Tra continui ondulamenti, tic, frantumazioni, accelerazioni e momenti di immobilitĂ , ritroviamo, posture e gesti che evocano scene di ordinaria follia, di pudore, rivolta, litigi, allegrezza, rabbia, complicitĂ , orgoglio e resistenza, emancipazione e bellezza, amicizia e solidarietĂ . Una coralitĂ esemplare che inizia a testa china nel silenzio assoluto, nel lento loop di movimenti di viso e braccia, infranto successivamente dal respiro allâunisono e ritmato cadenzando gesti e posture ripetuti, poi sempre piĂš articolati ed esplosivi.
Si passa, con continui blackout e cambi dâabito, dalle note di un valzer di Dmitri Shostakovich, alla canzone Je suis malade di Serge Lama con la voce di Lara Fabian, vocalizzata con ironica passione dal labiale dalle donne; da Dance Me to the End of Love di Leonard Cohen, alle Quattro stagioni di Vivaldi. Tutto, seguendo una drammaturgia chiara, espressiva, che rimescola le carte dei rituali fisici, culminante nelle sonoritĂ techno di Mathame, quando le cinque interpreti seminude, smessi tutti gli abiti che le avevano finora definite, si scatenano in una danza che sembra affermare un manifesto liberatorio di tutte le donne.
Per la 44esima edizione di Oriente Occidente Dance Festival, con il capitolo finale intorno al tema Mediterranei, non potevano mancare storie di mare, di naufragi, di salvezza. Per esplorare e raccontare la capacitĂ di resilienza dello spirito umano. Ă spettacolare e intimo allo stesso tempo il viaggio che lâartista, danzatore, performer di circo contemporaneo Piergiorgio Milano, intraprende, e noi insieme a lui, con la performance Fortuna, salpando, insieme a due compagni di avventura, Viviane Miehe e il musicista Steeve Eton, su una grande struttura autoportante che è nave, barcone, veliero, fluttuante tra le onde di un mare metaforico dapprima calmo poi in tempesta, che suscita libertĂ , paura, ardimento. Ă il racconto di un naufragio al contrario. Inizia da quando la barca giace sul fondo dellâoceano fino al momento della partenza. Come nel rewind di un nastro, riavvolgendo i movimenti iniziali dei due performer, veniamo catapultati dentro un continuo flusso fisico ed emotivo.
ÂŤIl mare non è uomo nĂŠ donna, nĂŠ maschio nĂŠ femmina. Il mare è un sentimento di lotta come la gioventĂš o di pace eterna e serena. Il mare è unâanima spiegata senza confiniÂť. CosĂŹ lo introduce una voce, accompagnata dallo sciabordio di un suono acquatico, aprendo al nostro immaginario la presenza e la vastitĂ del mare. Lo renderanno reale i due performer â accompagnati dalla musica live di un sassofono, dai suoni e rumori del beccheggiare e rollare dellâimbarcazione â con unâaffascinante, scivolosa, energica danza acrobatica che sâinerpica sulla struttura degli alberi a vela, che si alzano e si abbassano, sâincrociano, sâintrecciano con cime e bozzelli manovrati a vista, seguendo quel rito dei naviganti, affascinante e audace, che sfida e accarezza le onde.
Tra il cigolio del fasciame e delle sartie, il lascare e tesare al vento, issare e ammainare le vele, immaginando prue, evocando lâinabissamento e la lotta per la sopravvivenza, i due giungono in alto sulla coffa dellâalbero tra i pennoni incrociati, sostano pacificati guardando lâorizzonte, scrutando mondi, e ritrovando la quiete dellâanima. Bellissimo.
Nel breve duetto Naufraghi, coreografia di Luciano Padovani della Compagnia Naturalis Labor, due amanti si stringono, aggrappati lâuna allâaltro, con lei che fluttua con le braccia su di lui mentre la sostiene. La protegge, ne placa lâimpeto, la forza, forse per non perdersi entrambi in quel mare tempestoso come può essere, al suo sopraggiungere, la burrasca dellâamore messo alla prova. Allestito in una sala del Museo Mart, lâintensa performance vede la coppia â i bravissimi Alice Beatrice Carrino e Matteo Esposito â muoversi dapprima quasi sempre di spalle davanti ad una parete bianca; poi frontali, come se riaffiorassero da una tempesta emotiva, travolti dal tumulto dei sentimenti. E da essi salvati.
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