Stabat Mater, Artemis Danza
Nella vasta produzione della coreografa Monica Casadei per la sua compagnia Artemis Danza, la nuova creazione Stabat Mater – debutto trionfale al Teatro Rossini di Pesaro -, è da annoverare tra i lavori più ispirati. Sulle arie virtuosistiche e gli esaltanti pezzi corali della partitura musicale di Gioacchino Rossini (registrazione dell’Orchestra di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano), lo spettacolo si impone per densità poetica ed emozionale, per vigore espressivo ed intima partecipazione.
La composizione coreografica si dispiega in un largo, articolato, plastico gesto pittorico prolungato nei corpi dei 16 danzatori, componendo, sui dieci capitoli musicali dell’opera rossiniana, un disegno d’ampio respiro. Il segno pittorico è dato già dal prologo con l’intervento live painting dell’artista pesarese Giuliano Del Sorbo in piedi a dipingere su una grande tela bianca calata in proscenio, una personale Pietà tratteggiata, mentre ai lati fremono le braccia e soffia il respiro della vita nei corpi inarcati di donne posizionate a terra. Sullo sfondo si stagliano quattro Cristi ritti sopra dei piedistalli, mentre in basso un gruppo di donne squassa la scena con alterne posture e movimenti, assumendo rituali compositi di madonne doloranti, supplichevoli, coraggiose, tra compianti e deposizioni.
Casadei riempie la vastità dello spazio costellandolo di raffigurazioni scultoree che si animano nel procedere delle sequenze dove trovano eco fremiti di assoli, terzetti, e dinamicità di gruppi, bagnati da una sapiente luce caravaggesca che plasma e vibra, raggela e vivifica. Nel procedere a quadri, in sintonia con la partitura musicale, si focalizzano in primo piano forme in movimento, come la suggestiva sequenza teatrale dentro un corridoio luminoso con la figura di Cristo (il danzatore Christian Pellino) trattenuto dalle donne mentre avanza offrendo il petto al pennello bianco di un officiante (un austero Alfonso Donnarumma) che lo marca, come staffile, in più punti del corpo: chiaro riferimento alla Flagellazione ma anche a un destino, quello dell’Uomo-Dio, già segnato.
E commuove, a tratti, quel ripetuto comporsi e scomporsi di madri che reggono, trascinano, rialzano i corpi senza vita dei propri figli, trattenuti nel loro sciogliersi correndo in avanti, e ricondotti tra le braccia infiacchite – come non vedervi in questa struggente sequenza lo strazio di madri a cui le sciagurate guerre di oggi continuano a strappare i figli? Un dolore collettivo di cui si fa carico l’intenso assolo di Michelle Atoe, condiviso poi nel raggruppamento dell’ensemble dalle lunghe vesti nere, che ingloba anche gli uomini, danzando all’unisono, ritmando con piedi e braccia, attraversando la scena, fino ad installarsi seduti in proscenio componendo gesti dalle varie forme oranti.
La danza esplode energicamente nel finale mentre altre tele pittoriche con figure umane in relazione calano dall’alto, a comporre una coralità visiva e di movimento che sa di resurrezione. È grido e silenzio, lamento e preghiera, struggimento e dolcezza, forza e fragilità, morte e rinascita: ci suggerisce tutto questo lo spettacolo Stabat Mater, la “messa in danza” di una condizione universale, in primis della donna, che oltrepassa il solo senso religioso e diventa «Un nuovo sentimento di libertà – scrive Casadei – e propulsione della vita stessa».
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