Una serata “a tre mani”, al femminile, quella presentata alla Fonderia di Reggio Emilia, dalla XL Dance Company, giovane compagnia diretta da Emanuela Baratin e Laura Matano, che ha dato spazio alla creatività di tre giovani coreografi. Roberto Tedesco, autore emergente nel panorama italiano e con recenti creazioni già all’estero, da anni nella compagnia Aterballetto e oggi promettente coreografo freelance, ha reso omaggio all’universo femminile palesato subito nel titolo Ad Eva. Nel suo Eden immaginifico, realizzato, genialmente, con una serie di canne da pesca distribuite nello spazio, ciascuna con un frutto (vero) appeso all’amo, si muovono in controluce, tra cinguettii e suoni di natura, quattro danzatrici seminude. La sonorità che le accoglie è la musica ambient di Abul Mogard. Entrano a turno esplorando lo spazio brumoso e incontaminato, vivificando di gesti veloci e fluttuanti il loro abitare idilliaco, ma presto interrotto dal bisogno di rivestirsi per il senso di pudore che provano della loro nudità.
In questa improvvisa transizione nell’esistenza terrestre che la musica di Ravel – il Concerto per piano e orchestra in sol maggiore – e i cambi di luce evidenziano, i movimenti acquistano una fisicità più decisa e articolata. Tra assoli e precisi sincronismi la danza è resa da traiettorie tessute di una gestualità quotidiana, da posture intriganti con lievi cenni di malizie che hanno la conclusione nel mangiare chicchi d’uva dal frutto proibito verso il quale una delle donne, con consapevolezza e fierezza, attira le altre, affermando così la loro libertà di scelta. Diletta Antolini, Melissa Bortolotti, Noemi Garofalo e Linda Pasquini restituiscono con determinazione la qualità del movimento trasformato in adamantina scrittura coreografica da Roberto Tedesco.
Dora di Laura Matano è un intenso assolo interpretato da Chiara Riva. Nella semioscurità della scena, il suo luccicante corpo dorato emerge lentamente da una massa informe ansimante, che fa pensare a un bozzolo. Creatura astratta che nasce alla vita, scopre il mondo, prova l’ebrezza, affronta ostacoli, lotta. Striscia a testa in giù, poi carponi; attraversa un corridoio luminoso, estende la sua lunga treccia giocandoci; ha gesti frenetici seguendo il ritmo di sonorità elettroniche, e movenze vibranti mentre rientra, nel silenzio, dentro il nido che l’ha generata. Forse in segno di sconfitta.
Lo spazio di Seamless, della coreografa Sabrina Rigoni, è un luogo mentale circoscritto da un quadrato segnato da una sottile linea bianca, dentro il quale si dispiegano, si incrociano, si connettono cinque donne con movimenti che partono da una coppia a terra. La ricerca di verticalità, di riconquistare la prossimità perduta, crea una danza che si propaga alle altre interpreti, dettagliatissima nei movimenti indipendenti e corali, interrotti e ripresi, amplificati sonoramente da una musica martellante. La ricerca di contatto e di condivisione, la necessità della resistenza si scioglie nella velocizzazione dei corpi, nel confine oltrepassato, nel flusso vitale della vertigine.
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