INESORABILMENTEUNAVIA
Il linguaggio universale dell’arte, esplorato nelle diverse espressioni artistiche, nel dialogo, nella contaminazione e nel nutrimento reciproco che ne derivano, ispira la pratica coreografica di Roberto Doveri e Emma Zani, coppia artistica costituitasi col nome YoY Performings Arts. Nel terzo capitolo del progetto “Dialoghi con l’arte”, il loro processo creativo mette in rapporto la danza e la video-installazione, binomio più che assodato nel linguaggio performativo, ma sempre foriero di ulteriori suggestioni. A ispirare un pensiero e una forma coreografica strutturata, un affondo simbolico ricercando un’energia interiore da far emergere in un immaginario esperienziale, è, nella nuova creazione Inesorabilmenteunavia, il video dell’artista iraniano Bizhan Bassiri Il Bisonte (1998).
Il suono tellurico della corsa dell’animale (ambiente sonoro di Stefano Taglietti) mentre appare sfocato sul grande schermo che occupa l’intimo spazio scenico, quindi avanzare in primo piano e definirsi nella sua immagine e forza, si interrompe improvvisamente lasciando i due danzatori posizionati a terra. In questa trasformazione della natura che si rigenera in altre forme, il tumulto sonoro lascia il posto alla quiete dei due corpi, al comporsi di una mappa sensoriale di gesti, dettata da rigore, linearità, secchezza di posture che attingono alle pratiche orientali. Quasi una liturgia, un rituale che emana un’intensa dimensione spirituale. Quell’energia interiore incorporata, trattenuta e misurata, la esprimono i due danzatori e coreografi – la cui scrittura autoriale va sempre più definendosi -, disegnando geometriche varianti di movimento, di respiro all’unisono, di linee e traiettorie pulsanti ripetute, sul paesaggio sonoro – realizzato con un areofono, percussioni, suoni concreti e l’uso di un sintetizzatore granulare – del compositore Timoteo Carbone.
Andato in scena alla Manifattura Tabacchi B11 di Firenze per il festival Fabbrica Europa, lo spettacolo sarà presentato al Premio Prospettiva Danza di Padova il 14 ottobre e al premio Icc Linkage di Stara Zagora, in Bulgaria, il 30.
UNDER THE INFLUENCE
L’inizio è con lei sdraiata a terra, dormiente, e lui seduto in disparte che la guarda, mentre la canzone O my love, my darling gradualmente cresce. Poco dopo la donna si alza guardandosi attorno smarrita. L’uomo lentamente gli si avvicina ma lei si allontana. Non c’è, e non ci sarà, nessuna parola, eppure è tutto chiaro. È una danza muta di anime dopo un crollo, un teatro di segni e di lenti, minuziosi, movimenti, innescati nel tentativo di ricostruire una relazione. Scorrono calmi e nel silenzio assoluto le azioni quotidiane, i gesti abbozzati, gli sguardi furtivi o diretti, vaganti o penetranti, che scandiscono ogni piccola azione della loro storia filtrando la narrazione attraverso gli occhi. E poi gli accenni a un bacio, a un gioco negato, ad una reazione violenta, ad uno sfioramento di mani.
La coppia – Elena Giannotti e Matteo Ramponi – è dentro uno spazio scenico disseminato di alcuni sgabelli e bastoni di legno a terra, e delimitato da una grande tenda alla parete. L’interno della stanza è anche spazio della mente, paesaggio interiore, luogo di relazione tra un lui e una lei, in stato iniziale di veglia, poi risoluti, in conflitto, vicini, distanti, svuotati, attratti, respinti. La reiterazione del ménage è rotta appena dal loop elettronico di alcune note musicali – riconosciamo quelle del Bolero raveliano – che s’inceppano. Come le loro vite.
Ispirato al film di John Cassavetes A woman under the influence, lo spettacolo di Gianmaria Borzillo Under the influence (menzione speciale della Biennale di Venezia, registi under 30), tiene incollati alla poltrona per quella forza espressiva e fisica, tutta interiore ma capace di estrinsecarsi nel minimalismo di ogni gesto e di ogni sguardo, di espandersi, circoscriversi, e farsi linguaggio umano universale.
LANDSCAPE
È un corpo/spettacolo quello della greca Elena Antoniou, che, nella sua performance Landscape, intende indagare la relazione tra chi guarda e la persona osservata, rivendicando il diritto di scegliere quando vuole essere guardata come oggetto e quando diventare soggetto, essere responsabile del proprio stesso desiderio e non lasciare che siano gli altri a decidere come e quanto vale la propria libertà. In body nero, il suo corpo sfrontatamente esposto si fa paesaggio visivo e sonoro (musica e sound design di Stavros Gasparatos) da esplorare, scrutare, rielaborare nello sguardo dello spettatore.
Lo spazio “teatrale” (a Firenze la discoteca Tenax) funziona come un’installazione all’interno della quale si struttura e si sviluppa l’energia dello spettacolo. Situata sopra un’alta pedana quadrata – quasi un ring senza protezione -, con il pubblico libero di muoversi attorno, avvicinarsi e distanziarsi, Antoniou esegue una performance dalle movenze sensuali, una sfida che sovverte le regole. In piedi, statuaria, sdraiata, in posture ammiccanti o immobili, battendo i pugni a terra, alzando le braccia, con gli occhi che inseguono quelli altrui, la coreografa e danzatrice dà spazio e tempo affinché lo sguardo, a volte rafforzando l’azione reciproca e talvolta, mentre il corpo provoca, ponendo dei limiti, acquisisca potere e ridefinisca sia la conoscenza che il desiderio attivando la memoria personale coi propri traumi e le esperienze individuali. Quello della performer si fa corpo politico mirato all’emancipazione delle donne, alla libertà dell’individualità, all’individualità del piacere.
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