Appena senti Oh ti si accende una luce, nel senso letterale del termine, visto che, come tutti gli appassionati di design avranno immediatamente capito, stiamo parlando della iconica lampada a sospensione Tobias Grau. Dal 1986, il brand tedesco illumina le nostre case, i nostri uffici, gli spazi in cui viviamo e svolgiamo le nostre attività, le scrivanie e i tavoli, dando forma, consistenza, al modo in cui appare il nostro mondo. E per aprire nuove prospettive, la casa che ha sede a Rellingen, in un avveniristico edificio progettato dallo studio BRT – Bothe Richter Teherani e nel quale lavorano più di 100 dipendenti, ha coinvolto artisti e autori di tutto il mondo invitati a reinterpretare le proprie creazioni in totale libertà, ambientandole in scenari surreali oppure realistici e quotidiani, oppure trasformando le sagome delle lampade in maniera incondizionata. Luce su carta bianca, insomma. Nome del progetto? “Artists for Tobias Grau”. Chiaro, no?
«Siamo lieti di lavorare con creativi di tutto il mondo alla nostra serie Artists for Tobias Grau», dichiarano da Tobias Grau. «Non vediamo l’ora che il progetto si evolva in nuove dimensioni nei prossimi mesi, esplorando il conforto e le potenzialità della luce, supportando gli artisti in questi tempi difficili. La loro creatività ci porta grande ispirazione ed energia», continuano dal brand, che ha lanciato il progetto durante il lockdown ma che sta continuando ancora oggi. Sarah Blais, Johann Clausen, Darryl Daley, Bastien Gomez, Valeria Herklotz, Paul Hutchinson, Dan Ipp, Benoit Jeannet, Otto Masters, Tanya & Zhenya Posternak, Clara Rubin, Torso, sono alcuni dei creativi che hanno partecipato al progetto, inviando le loro personali visioni delle luci, tutte pubblicate sulla pagina Instagram di Tobias Grau, con l’hashtag #ArtistsforTobiasGrau.
«Fin dall’inizio del progetto, gli artisti coinvolti hanno condiviso fotografie, video, illustrazioni, scatti di installazioni e immagini in 3D: tutte esplorano le possibilità che i prodotti di Tobias Grau offrono e l’esperienza emotiva della luce», continuano. E allora, ecco che pezzi come Parrot, che sembra essere la più fotografata insieme a Salt & Pepper, o come Falling in Love e John, diventano forme autonome nella luce ma anche nelle ombre, giocando con ciò che si vede e con ciò che è solo accennato, immerse in contesti interni domestici – anche sotto le coperte – ma anche esterni o addirittura altri, onirici, dialogando con superfici e materiali, tra porosità e diversi gradi di levigatura, diventando altro da sé eppure sempre presenti, proprio come fa la luce.
«La lampada portatile Salt&Pepper offusca la linea tra interno ed esterno. È visibile sia in primo piano che nel secondo livello della mia immagine. La sua forma è sufficientemente astratta da essere riconoscibile. Ed invita ad esplorare l’orizzonte», così Bastien Gomez racconta la sua reinterpretazione di Salt&Pepper.
«In generale ci siamo immaginati una donna come oggetto sessuale, nell’atto di sposare PARROT. La capacità della lampada di operare in ogni spazio le dona una sorta di qualità antropomorfica e volevamo che le immagini fossero in un certo senso intime, perciò PARROT era come un partner o un parente che compaiono con te in un album di famiglia in diversi momenti della tua vita», spiegano da Torso, duo di fotografi basato a New York.
«A seconda della prospettiva le forme assumono qualità differenti. I cerchi diventano ellissi e forme sovrapposte richiamano i motivi della natura. Spesso mi chiedo se l’estetica di quell’esatto momento provenga dai ricordi o se sia invece parte di un DNA universale. Ero interessata al senso dello spazio che la luce può creare. Ho portato quest’idea ai confini dell’immagine e ho iniziato a giocare con le forme e il movimento della luce nel tempo», così Sarah Blais descrive il suo intervento per Tobias Grau.
«Esplorando il momento che sta tra il giorno e la notte, scattando al tramonto, con le luci che si animano nelle case, ho voluto indagare l’idea di libertà scegliendo come location il quartiere Hackney Marshes di Londra, alle pendici del paesaggio urbano», spiega Otto Masters.
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