Quando due metalli entrano in contatto, sfregandosi o scontrandosi, il suono generato produce sempre una sensazione graffiante e dolorosa. È un suono che in natura non esiste, frutto dell’ingegnosità e a volte della follia dell’uomo. Un’acciaieria a pieno ritmo, un “crush” automobilistico, un ponteggio o una gru che cadono rovinosamente a terra. Ma c’è di contro tutto uno spettro di suoni, di schiamazzi metallici che, sebbene gracchianti e taglienti, ci regalano una sensazione di benessere, una scarica di serotonina per non dire di gioia e piacere fisico. Lo sferragliare del tram tra i viali alberati, il fischio del regionale in stazione, la frenata del treno metropolitano davanti alla banchina gremita di gente. Sollievo, la fine di un’attesa e l’inizio del viaggio, piccolo o grande che sia. Questa ed altre le emozioni che si respirano nella mostra ATM MANIFESTO – Storie, Viaggi e Design, curata da Matteo Pirola in collaborazione con Fondazione Franco Albini e la Bob Noorda / Noorda Design.
Passeggiando per le splendide sale dell’ADI Design Museum di Piazza Compasso d’Oro, una volta antico deposito dei tram e impianto di distribuzione dell’energia elettrica poi ristrutturato e ammodernato, è stato possibile ammirare per la prima volta materiali dell’Archivio Storico dell’azienda Atm che raccontano tante storie, una storia. La storia della nascita di una metropoli, la storia della Milano postmoderna. Manifesti, documentazioni tecniche, cartoline, immagini e foto del Fondo fotografico dell’azienda. Ma anche prototipi e progetti, disegni, schizzi e tanto materiale inedito oltre ai contributi di Fondazione Pirelli, Fondazione Corriere della Sera, Archivio MM Spa e Collezione Minici Giovanni Luca. Un patrimonio materiale inestimabile, dichiarato Bene Culturale dalla Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Lombardia, in grado di restituire una traiettoria, una linea vitale, un percorso antropologico completo e complesso della Milano degli ultimi 100 anni. La metropoli lombarda a cavallo degli anni ‘20 e ‘30 del ’900 con le tramvie e poi quella degli anni ‘60 (1° novembre 1964) era un organismo che stava conoscendo una grande espansione, non solo economica, urbanistica e logistica, ma anche sociale e culturale. Fasi di crescita solida che, non è un caso, si trovarono a braccetto con un’altra rivoluzione, quella della società dell’immagine che attraverso le nuove tecnologie delle fotocamere, della macchine da presa ma anche della produzione in serie di stampe, disegni e fumetti è stata in grado di raccontarci quell’immaginario in evoluzione, di mostrarci quella forte autocoscienza di fare la storia non solo del trasporto urbano, ma della città in ogni sua forma e aspetto.
E lo spettacolo erano e sono proprio i volti di quegli uomini e donne dell’azienda, macchinisti, operai, bigliettaie, dirigenti intenti al proprio lavoro tra questi capannoni del deposito, negli uffici, nelle sale della direzione, sui treni e tram in movimento. Sguardi fieri, indaffarati, sorridenti, a fronte di un’utenza sempre più vasta, esigente, ma non meno problematica e complessa. Sì, perché la città di Milano non solo ha sviluppato tecnologie e servizi prima di tutte le altre città italiane, ma si è trovata a dover affrontare problemi e criticità che avrebbero investito le altre metropoli soltanto decenni dopo. Non solo il traffico delle auto e la mobilità di milioni di passeggeri in contemporanea, ma anche la necessità di educare, di mandare messaggi comprensibili e orizzontali contro vandalismo, manomissioni, sporcizia, imbrattamenti e cattiva educazione sui treni, nelle stazioni, tra individui.
Così è possibile ammirare gli sforzi in questa direzione dell’azienda, come le campagne informative a fumetti “Avanti c’è posto!” (1950) con illustrazioni dedicate ai gesti quotidiani di educazione e rispetto (come salire e scendere da un bus in sicurezza), o quella del simpatico personaggio Attilio Tranviere Milanese in “Per Milano con tutti i mezzi” (1986) che consiglia di buttare le carte nel cestino (“Bravo! Anche questa volta hai fatto centro”, “Non sporcate, grazie.”) o lasciare il posto a persone anziane. Le campagne di sensibilizzazione per conoscere e condividere i costi della mobilità (“Chi tenta di viaggiare gratis, non ha capito niente” , “Andare in Auto quanto ti costa?” del 1975) e quelle più moderne come “Prenditi i tuoi tempi. Prendi i mezzi pubblici” del 2007 o quelle a contenuto sociale e civile come “Siamo tutti unici”, “E tu che ne sai ? Cosa vogliono dire le lettere LGBTQIA*?” (2023), dedicata all’inclusione e al rispetto della diversità.
Più e prima dei politici, dei mezzi di informazione, prima di arrivare a scuola o sui posti di lavoro, l’Atm si è trovata dunque ad avere un delicato ruolo sociale e sperimentale, di connessione e intermediazione tra gli attori della metropoli, tentando un difficile di lavoro di organizzazione ed educazione collettiva. Qualcosa di scontato oggi ma non certo 50, 60, 70 anni fa, epoca pionieristica dell’uso e dell’utilizzo comune di mezzi e infrastrutture. Con l’aggiunta di un approccio innovativo rispetto ad altri ambienti, come ad esempio la “dura” cartellonistica ferroviaria (“NON OLTREPASSARE I BINARI!”, “NON FUMARE!”, “i trasgressori saranno puniti”).
Ne è un esempio proprio il personaggio di Attilio Tranviere Milanese, creato nel 1986 dalla McCann Erickson, una delle agenzie pubblicitarie più famose al mondo, che sintetizza con ironia e gentilezza l’approccio dell’azienda, conscia che certi risultati, di civiltà e rispetto, non si possono ottenere unicamente che con un coinvolgimento “simpatico ed empatico” dell’utenza. La richiesta di buone maniere, di dolcezza attraverso il sorriso diventano espressione di quel soft power civico e metropolitano, marchio di fabbrica di quella città di Milano, di quella metropoli futura megalopoli già consapevole che certe sfide andavano affrontate in modo alternativo. Anche con le armi del design e dell’arte.
Se per il famoso magnate Aristoteles Onassis era “meglio essere infelici sui cuscini di una Rolls Royce che sulle panchette di un tram”, ebbene, non aveva fatto i conti con la panca in legno smaltate del celebre Tram serie 1500, più noto come vettura Carelli Milano 1928, mezzo di locomozione in attività da ben 96 anni (record assoluto per un mezzo pubblico).
Pezzo in mostra di assoluta bellezza e semplicità estetica, che attraverso la semplicità dell’unica seduta longitudinale, la panca superava la concezione salottiera del vagone ferroviario diviso in classi alla volta di un’usabilità breve, immediata, urbana appunto. Funzione ed eleganza, bellezza e impiego.
Come la livrea della carrozza dipinta a mano da Peter Toepfer (“Scuolaintram – 1986”) o i tram serigrafati per attività formative e laboratori didattici per ragazzi in giro per la città (“TraMito” – 2001, “Decoriamointram” – 1988), come i cestini gettacarte Kartell, come il premio Compasso d’Oro vinto 1964 vinto da Franco Albini e Franca Helg e dal grafico Bob Noorda per l’organizzazione architettonica e semiotica delle stazioni della M1 (che ha fatto scuola anche per la Metro di New York).
Insomma Atm, fondata nel 1917, ha rappresentato per la città di Milano 100 anni di accumulazione di esperienze, di vite, di stratificazioni emozionali e materiali lungo un corpo mobile di 1.600 km divisi tra linee metropolitane, tranviarie, autobus e filoviarie.
Certo la possibilità di una rete (logistica e umana) che diventa “un ingannevole groviglio che gira in tondo, che torna sui suoi passi ripiegandosi su se stessa” (David Leavitt), dunque di una complessità indicibile, cieca e autoreferenziale rimane alta. È il rischio che corre ogni spazio sociale, ancor più se complesso e stratificato come quello di una grande metropoli. Per questo segni, ricordi, documenti e tutto ciò che aiuta a ricostruire una memoria condivisa può ridare un senso, una direzione non solo alla cultura d’impresa ma anche alla stessa città e ai suoi abitanti.
Per questo la mostra sembra trasformarsi in un vero e proprio romanzo di formazione urbano, un laboratorio di vite in comune, condivise sulle sedute della Metro, dei Tram 1928, dei Bus che corrono lungo la città. La rendono umana, vicina, prossima. Come quei volti ora addormentati ora indaffarati del documentario un po’ futurista e un po’ malinconico, girato nei primi anni ‘80 da Gianni Barison (disponibile su Youtube) e che racconta la vita, i ritmi, gli spazi, i colori e le sensazioni di passeggeri, macchinisti, dirigenti chiusi nelle sale controllo. La vita sulla Linea 2 verde della Metro. Ecco il suono dell’acciaio. Sta arrivando il treno!
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