09 agosto 2024

Come le aziende collaborano con gli artisti: il programma dello storico marchio del design Caimi Brevetti per una continua innovazione

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L’incontro tra il mondo dell’arte e quello delle aziende può condurre a nuove visioni, scambi di conoscenze e oggetti inediti, tra opera e prodotto. Giorgio Caimi ci racconta come l’azienda abbia deciso di investire sul futuro e studiare il benessere psicofisico delle persone incontrando gli artisti e le loro ricerche

Stand “Piazza Caimi”, realizzato per il Salone del Mobile 2024

Caimi Brevetti sin dalle sue origini ha collaborato con designer e artisti che della sperimentazione e dell’attraversamento di discipline hanno fatto scuola. L’azienda, già vincitrice di diversi Compasso d’oro, ha progettato oggetti iconici che ritroviamo nella quotidianità di diverse generazioni: dall’iconica “schiscetta” La 2000, ai tessuti fonoassorbenti.

Giorgio, raccontaci di Caimi e del tuo ruolo in azienda.

«Caimi Brevetti viene fondata nel 1949 da mio papà, Renato Caimi, che ne è stato presidente sino allo scorso aprile, quando se n’è andato. Caimi ha “fatto design” sin dalle origini, quando non si sapeva cosa fosse il design, ma si trattava di fare bene cose utili, e farle anche belle. Franco, mio fratello, è stato il primo di noi quattro figli ad entrare in azienda. A fine anni Ottanta,  sono entrato io e a seguire Lorenzo e Gianni. Lavoriamo in reparti diversi perché abbiamo quattro vocazioni diverse. C’è grande rispetto e stima tra noi e a parte qualche litigata epica, andiamo d’accordo da decenni! Personalmente mi occupo del dipartimento tecnico, di ricerca e sviluppo e sono responsabile dell’Open Lab». 

Giorgio Caimi

L’azienda è alla seconda generazione, qual è la prospettiva futura? 

«Recentemente sono entrati i nipoti, Francesco, Renato e Andrea, e questa postura, rivolta al futuro, ci ha portato a sviluppare e investire in progetti come l’Open Lab in cui non si pensa più in termini di bilanci, ma si pensa in termini di generazioni. Lavoriamo perché abbiano gli strumenti per poter agire con sicurezza».

Quando e come nasce la tua passione per l’arte?

«Sin da quando ero bambino mio padre mi portava per musei, cosa che dimentichi durante l’adolescenza ma poi ti ritrovi a vent’anni che riconosci le opere a prima vista. Inoltre la nostra casa era frequentata da artisti di ogni genere: da sacerdoti, come padre Francesco Radaelli, ad anarchici. Queste sollecitazioni ti portano ad eliminare tanti pregiudizi». 

Che cos’è  l’Open Lab?

«L’Open Lab è uno dei laboratori aziendale più sofisticati al mondo dedicato allo studio del suono. Circonda l’ufficio tecnico e il reparto ricerca e sviluppo. Si articola nel Rev Lab, una camera riverberante che simula le condizioni acustiche di un’enorme cattedrale, e il Super Nova Lab, una camera semianecoica isolata dal resto del mondo».

OpenLab – Supernova Lab. Camera semi-anecoica presso Caimi OpenLab, Nova Milanese

Malgrado sia un luogo che necessita di una certa riservatezza, vista la sensibilità dei temi per l’azienda, perché avete deciso di aprirlo?

«L’utilizzo dell’Open Lab, per scelta familiare, viene concesso in modalità pro-bono a istituti ospedalieri, università e ricercatori purché l’attività svolta abbia come finalità il benessere psicofisico delle persone. Tanti mi chiedono perché accogliamo anche gli artisti, e la risposta è perché anche l’arte ha una ricaduta diretta sul benessere. Di questo ne siamo assolutamente convinti».

In che modo vengono coinvolti gli artisti?

«Gli artisti ci contattano per sviluppare progetti specifici oppure capita che sia io a chiamarli. In quest’ultimo caso, senza alcun tipo di aspettativa, li invito perché possano scoprire com’è fatto il silenzio. Solitamente gli propongo di rimanere nella camera semianecoica quattro minuti e trentatré secondi come da manuale di John Cage! Poi, sai come funziona il mondo dell’arte, prima che questa esperienza porti a qualcosa possono passare dei mesi oppure, in alcuni casi, vengono eseguite performance istantanee. Un amico artista si è perso a tracciare righe di tre, quattro metri per sentire il rumore della grafite sul foglio».

Alberto Gianfreda, ripreso durante la realizzazione dell’opera “Progetto Italia” presso i laboratori Caimi OpenLab

Chi è stato il primo artista ad utilizzare l’Open Lab?

«Alberto Gianfreda, siamo molto amici. La sua pratica prevede la distruzione e la ricostruzione di manufatti ceramici e, all’interno dell’Open Lab, si è concentrato sul suono prodotto dalla rottura di un vaso.  Dopodiché si è fatto spedire diciannove opere in ceramica provenienti da tutt’Italia per ripetere e documentare l’operazione. Da questo materiale sono stati realizzati degli NFT. Il fatto di essere all’interno del Super Nova Lab gli ha permesso di raccogliere il 99,9% dei rumori prodotti. È stata una bellissima esperienza, che mi ha anche molto divertito, devo ammetterlo». 

Dopo Gianfreda chi avete ospitato?

«Andrea Granitzio, ricercatore, compositore e musicista, che ha suonato le pietre sonore di Pinuccio Sciola. Pinuccio era un caro amico di famiglia, e sentire suonare le sue opere in modo eccelso è stata una grande emozione. Le sculture di Pinuccio sono state suonate anche da Alberto Nigro, studioso di tradizioni antiche e di come il suono possa essere uno strumento di cura. Oltre alle pietre sonore, ha utilizzato un diapason e un tamburo che, suonati all’interno del Super Nova Lab, hanno prodotto un suono coinvolgente e profondo. All’inizio ero scettico ma sono bastati tre minuti per sentirmi una persona felice. Questa sensazione di benessere che ho provato mi ha incuriosito. Bisogna indagare queste cose e anche per questo è stato pensato l’Open Lab. Nella camera semianecoica è stato anche inciso dal Maestro e compositore Fabio Montomoli un pezzo contenuto nell’album Bach».

Andrea Granitzio, ripreso durante una performance con sculture sonore di Pinuccio Sciola presso i laboratori Caimi OpenLab

Ci sono stati dei casi in cui dall’Open Lab si è giunti ad altre esperienze legate alla vostra attività?

«Dalla nostra esperienza abbiamo evidenza di come la contaminazione tra industria dura, design e l’arte può portare a risvolti inediti. Con l’artista Marta Martino, che ci ha contattati per svolgere una performance all’interno delle camere, abbiamo poi realizzato un prodotto industriale che abbiamo in catalogo. L’Open Lab è stato un elemento di congiunzione per questo processo».

A fronte di queste esperienze, qual è il ruolo dell’artista in azienda?

«L’azienda ha un’introspezione fortissima. Si è portati a guardare sempre all’interno. Non a caso si collabora con professionisti esterni come i designer. Ma gli artisti, a differenza dei designer che hanno la capacità di anticipare le nuove esigenze della società, riescono a mostrare visioni di futuro, aprendoti gli occhi su questioni grandi e complesse, che dalla mia prospettiva di responsabile tecnico sono difficili da avere. Ad esempio, gli artisti ti sanno spiegare cos’è un suono attraverso la percezione, non in termini di percentuali o frequenze».

Sic, design Alessandro Mendini. 159×119 cm, collezione Snowsound Art “Le idee e le cose”

Oltre all’Open Lab un’altra occasione d’incontro con le arti è Snowsound art. Di che cosa si tratta?

«Snowsound art ha l’obiettivo di far incontrare l’unicità dell’arte con la serialità e fruibilità del design. Nascono così delle soluzioni decorative, realizzate da grandi maestri dell’arte e del design, applicate a pannelli fonoassorbenti. Abbiamo collaborato con Sezgin Aksu, Mario Trimarchi, l’Archivio Gio Ponti e con Alessandro Mendini. Ci tengo qui a citare il Maestro Gillo Dorfles grazie al quale è nata la prima collezione Snowsound art. Mentre era in vita, abbiamo scoperto che aveva disegnato dei tessuti per bambini. Con lui abbiamo lavorato per compiere alcune modifiche e ad attualizzare le colorazioni. Una delle ultimissime mostre di Dorfles è stata all’interno del nostro spazio al Salone del Mobile, curata da Aldo Colonetti. Ci teneva molto ad esserci e, malgrado i problemi a deambulare, si è presentato all’inaugurazione. E’ stato un momento toccante».

Quale progetto di Snowsound art avete presentato durante l’ultimo Salone del Mobile?

«Quest’anno all’interno di Piazza Caimi abbiamo presentato la collezione Le idee e le cose di Alessandro Mendini. Grande artista, grande designer -oltretutto simpaticissimo, mi prendeva sempre in giro! Con l’aiuto delle figlie, abbiamo selezionato alcuni suoi disegni, tra cui il pattern di Proust, il coniglietto con gli occhi umani e il disegno Ollo. Abbiamo inoltre presentato Stilemi, una collezione inedita di sgabelli coloratissimi».

A fronte della tua esperienza, qual’è la sintesi tra meccanica e l’arte?

«In meccanica è necessario prima di tutto progettare bene: gli oggetti devono funzionare, non si scherza con gli aerei! Ma una delle regole imparate dall’esperienza, in un certo senso riconducibile alla fluidodinamica, è: se è bello allora vola bene! Se la linea “corre” all’occhio allora funziona! E questo penso sia il punto d’incontro».

La 2000 “Schiscetta”, 1952, design Renato Caimi. Portavivande in alluminio naturale caratterizzato da un particolare sistema di chiusura. Il manico ricurvo preme sul coperchio sigillandolo ermeticamente

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