Categorie: Design

design_fermenti | Il design che si sente

di - 19 Giugno 2008
Per un cieco, il suo bastone non è una “cosa”, ma un mezzo attraverso il quale può fare esperienza delle cose. Se prescindiamo dalla dimensione anatomica, per concentrarci esclusivamente sugli aspetti percettivo-motori dell’esperienza che abbiamo della realtà, ci rendiamo conto che il bastone è, a tutti gli effetti, parte integrante del corpo del cieco, esattamente come le sue gambe e le sue braccia.
Ciò significa che gli oggetti d’uso e i comportamenti di cui essi sono volani e divieti (scrivere con una penna, navigare con un mouse, viaggiare a 200 km/h con una motocicletta) non sono semplicemente “mezzi” per il sentire ma sono essi stessi parte integrante del nostro apparato sensoriale. La questione del sentire è quindi al centro della partita del design, perché alterare gli oggetti d’uso vuol dire alterare i presupposti sensoriali attraverso cui diamo forma alla realtà delle cose. Anche se non tutti accettano questa sfida, limitandosi a operazioni di maniera che non spostano di niente quello che c’era prima.
Lo studio Sovrappensiero, composto dai giovani designer Ernesto Iadevaia (1982) e Lorenzo De Rosa (1985), laureati in disegno industriale a Napoli e oggi operanti a Milano, all’ultimo Salone Satellite si è distinto per la sua ricerca volta a progettare oggetti in cui la componente “design” potesse essere fruita da utenti non vedenti. Non come un surrogato del design “estetico”; al contrario, negli oggetti dei Sovrappensiero il design passa attraverso l’olfatto, il tatto, l’udito, in modi che non potrebbero avvalersi che di canali sensoriali altri rispetto alla vista.

Tra i progetti presentati, il primo a colpire è Soap-opera, un quadro fatto di sapone il cui senso estetico (nell’accezione di aisthesis) sta tutto nella modulazione olfattiva e tattile. Ma già da questo progetto emerge un altro aspetto che i designer hanno voluto prendere in considerazione, cioè il fatto che, seppur concepiti per non vedenti, questi oggetti non dimenticano comunque il mondo dei non non vedenti. L’oggetto acquista così anche un valore visivo, modellando forme e colori in maniera tale da non trascurare l’occhio.
Ciò è ben visibile (e ascoltabile, odorabile…) anche nel progetto Diapason, che permette di ascoltare la luce, e in Scented Time, un orologio composto da una serie di candele che, mano a mano che si spengono, si passano la fiamma l’una all’altra, come in una sorta di domino, rilasciando ciascuna un aroma che, a seconda dell’ora, dà un odore diverso all’ambiente. ““Quanto dura un momento di piacere? Che odore ha?”, si chiedono Iadevaia e De Rosa. “Ogni candela profumata ha una durata di venti minuti e prima di morire dona la sua fiamma a quella che la segue. Sistemando le candele in base all’odore e accendendo la prima potremmo decidere, come in un rituale, quando il nostro momento inizia, immaginare quanto dura ed essere sorpresi della sua fine, attraverso i profumi che ne scandiscono le fasi”.

Essere sorpresi della fine di un istante… Enzo Mari sostiene che il vero design è quello che cambia, almeno un po’, il comportamento delle persone. La percezione è un processo attivo che non si limita a subire gli stimoli dall’esterno ma li organizza attivamente, strutturandoli in forma di percetti. Ciò significa che la percezione, per farci sentire qualcosa, ci oscura delicatamente tutto il resto. Prende forma così l’esperienza che facciamo nella vita quotidiana. Alterare le abitudini percettive, attraverso il design del sentire, cambia, magari di poco, i nostri comportamenti. Ma quel poco è preziosissimo. Perché è da lì che sgorga il senso.

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stefano caggiano

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