Categorie: Design

design_interviste | Design senza filosofia

di - 25 Ottobre 2007
Con il progetto W2 Wireless Square hai di recente vinto il Mini Design Award. Com’è nata questa idea, che pare abbia impressionato la giuria per il suo impatto comunicativo e ambientale?
La tecnologia wireless che permette la diffusione del segnale internet senza fili non è altro che un’antenna che emette delle onde. Con il progetto W2 ho cercato di giungere a una sintesi visiva, una trasposizione fisica dell’immagine mentale che avevo di questo sistema. Credo che la forza di questo progetto sia proprio nella sua “scontata” semplicità.

La tua giovane carriera è già caratterizzata da progetti internazionali, come in Giappone, dove lavori nell’ambito del light design, dopo aver vinto in Italia il Matsushita Light Design Competition, e negli Stati Uniti, dove segui l’allestimento della mostra Luxury in living. Queste esperienze come hanno influito sul tuo fare design?
Uno dei miei rimpianti del periodo universitario è quello di non essere andato in Erasmus. Quando ho finito l’università sentivo il bisogno di confrontarmi con “il resto del mondo” e l’esperienza nipponica prima e quella statunitense poi sono state sicuramente molto importanti. Non so se abbiano influito sul mio “fare design”, ma come tutte le esperienze molto forti hanno sicuramente influito sul mio modo d’essere e quindi, per qualche verso, anche sulla mia vita professionale.

Quali sono i tuoi punti di riferimento nel design?

Sono chiaramente affascinato dal lavoro dei grandissimi: Castiglioni, Magistretti, Scarpa, Wright, ma anche Piano, Calatrava e tanti altri che andrebbero inutilmente ad allungare una lista molto ovvia e scontata. Non credo di avere dei punti di riferimento precisi, mi piace tenermi aggiornato: leggo i quotidiani, uso internet, vado alle fiere e a qualche mostra…

Il tuo progettare va in molteplici direzioni. Penso ad esempio al progetto Shop Sharing, ai prototipi di lampade, al packaging per marchi come Ferrero e al citato progetto di urban design. Piter Perbellini - Big BonsaiQual è la tua filosofia progettuale?
Penso che la cosa più importante sia come e non cosa si progetta. Facendo esperienza negli studi professionali e adesso come libero professionista è normale che ci si debba misurare con progetti molto diversi tra loro. Non credo di aver sviluppato una vera e propria filosofia progettuale. Mi misuro con progetti diversi perché è il modo più facile per arrivare a pagare l’affitto a fine mese. Ogni progetto fa storia a sé, di solito cerco di trovare nella semplicità e nella funzionalità “quella intuizione” che risolve il “problema”.

Quali sono i tuoi rapporti con le aziende?
Siamo in tanti, il mercato del lavoro è contratto e la nostra professionalità viene spesso molto sottostimata. Non è facile trovare un’azienda disposta a concederti spazio e a riconoscere il tuo operato. C’è chi dice che un numero sempre maggiore di aziende capisce e apprezza il valore aggiunto che il design può conferire ai loro prodotti, ma la cosa non mi convince più di tanto. A me sembra che queste aziende spesso puntino sul designer e non sul design. Mi spiego meglio: la loro è un’operazione di marketing, sempre più spesso la firma e non l’approccio progettuale diventa l’unico valore aggiunto percepito dal mercato. Personalmente cerco di tenermi stretti i pochi clienti che ho e di ampliare il più possibile i miei contatti andando alle fiere e facendo molti concorsi di idee. Un sistema abbastanza efficace per instaurare un primo rapporto con un’azienda.

Andrea Branzi parla “dello stato gassoso, fluttuante, del design contemporaneo”. Cosa pensi della situazione italiana contemporanea?

La società contemporanea ha dilatato e stemperato i confini del concetto di design arrivando a contagiare l’intero spettro della produzione in tutti i sensi. Il “design” è associato a qualsiasi cosa: prodotti, grafica, comunicazione, allestimenti, installazioni artistiche, moda. Oggi tutti possono fare i creativi ed essere “designer”, forse. Abbiamo il product designer, il light designer, l’interior designer, il web designer, il brand designer, lo strategic designer, il fashion designer, il textile designer, il movie designer, il floral designer, il food designer, l’hair-stylist e mi scuso con chi ho sicuramente dimenticato. È una situazione poco limpida ma molto “democratica”, divertente e stimolante.

articoli correlati
Design fairy tales
link correlati
Mini

a cura di giorgia losio

[exibart]

Articoli recenti

  • Architettura

Biennale di Venezia: quattro padiglioni che stanno ripensando se stessi attraverso l’architettura

Questa Biennale di Architettura non è solo un modo per mettere in mostra le intelligenze collettive, ma anche un'occasione, per…

11 Maggio 2025 18:29
  • Arte contemporanea

Il progetto che porta l’arte nei borghi italiani compie cinque anni. E li racconta in una mostra

La Fondazione Elpis di Milano ospita la mostra "Dove non sono mai stato, là sono": un punto d'arrivo in occasione…

11 Maggio 2025 17:40
  • Fiere e manifestazioni

Alle OGR The Phair, la fotografia tra tradizione e intelligenza artificiale

The Phair, con la partecipazione di 50 gallerie nazionali e internazionali, conferma essere un evento di riferimento affidabile per seguire…

11 Maggio 2025 14:00
  • Progetti e iniziative

Meta e Gallery, ovvero MeGa: l’arte nell’epoca digitale

MeGa, la galleria virtuale di Popsophia, è un luogo incantato, che utilizza tutta la téchne, la professionalità tecnologica attuale, per…

11 Maggio 2025 11:30
  • Fotografia

Other Identity #158, altre forme di identità culturali e pubbliche: Fleba Fenicio

Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo…

11 Maggio 2025 9:30
  • Mercato

Aste Bolaffi, al via la prossima vendita di arte moderna e contemporanea

Prima in esposizione, poi al vaglio del martello. Tutto pronto per l'incanto di Aste Bolaffi a Torino, tra gli highlights…

11 Maggio 2025 9:00