22 febbraio 2005

design_interviste Notcom. Estetica metropolitana

 
Design, comunicazione e moda. Per una linea di accessori dedicata a pedoni e ciclisti metropolitani. Nasce Notcom. Ne parliamo con Giulio Iacchetti e Matteo Ragni, fondatori di Aroundesign, ideatori del progetto. Dal logo piccione, alle trappole dei prototipi rapidi, alla necessità di sporcarsi le mani…

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Come nasce Notcom?
Giulio: è una storia anomala per il nostro mondo perché con questo progetto abbiamo individuato un limite e uno spazio per il design.
Il limite è che quando un designer ha un’idea di carattere imprenditoriale, troppe volte ha investito in quest’idea in maniera unilaterale, cioè ha voluto realizzare un’autoproduzione.
Questa autoproduzione è un processo che costella il percorso di moltissimi designer: chi fa fatica a trovare un produttore, chi fa fatica a trovare un referente, trova nell’autoproduzione, nell’autosoddisfacimento della realizzazione uno scopo, un punto d’arrivo.
Però questa cosa è limitata e limitante perché un’attività produttiva non è solo la realizzazione di un progetto, c’è anche la distribuzione, l’ingegnerizzazione, il punto vendita.
Allora in studio è nata l’idea di progettare una linea di oggetti per la vita urbana, soprattutto rivolta agli utenti più esposti alle intemperie della vita urbana: pedoni e ciclisti. Una volta partorita quest’idea non l’abbiamo tenuta per noi ma l’abbiamo resa collettiva coinvolgendo Modo, azienda del settore, e richiedendo ad un’agenzia di progettazione grafica, Leftloft, di occuparsi dell’immagine. Dopo di che è nato il progetto Notcom. Questa è la genesi.

Da Milano parte l’avventura Notcom. Da dove l’ispirazione visto che è una città in cui pedoni e ciclisti non hanno vita facile? Perché non Amsterdam, Copenhagen o Bologna?
Giulio: Il nostro desiderio è che Milano possa aumentare l’attenzione verso l’utente della strada. La forza di Notcom è che non vuole diventare un’azienda/filosofia antagonista. Il nostro obiettivo è di allargare l’utenza dei ciclisti e dei pedoni con un gesto cortese. Come i guanti che dicono stop ma dicono anche grazie.
Matteo: Milano è la nostra città, cominciare da una grande città che è una delle grandi capitali europee è già un inizio per poi espandere il nostro marchio in altre città.

Tra gli oggetti un guinzaglio. Perché?
Matteo: Il guinzaglio è un accessorio sia per il cane che per l’uomo. Un oggetto ibrido che oltre ad essere una borsetta serve anche a domare il cane, oltre a contenere il sacchetto, oramai requisito di legge.

notcom
Dove si possono trovare i prodotti Notcom?

Matteo: Il marchio è stato appena lanciato, ora si sta studiano dove distribuire gli oggetti. Questa è una tipologia di oggetti un po’ particolare perché non è moda e non è solo design. Una tipologia a cavallo tra le due cose e trovare un luogo dove poterla acquistare diventa fondamentale.
Identità forte che potrebbe presupporre diversi luoghi di distribuzione.

Rispetterete le leggi della moda? Stagioni? Trend? Avvicendamento?
Matteo: Non ci sono collezioni scandite dalle stagioni, sono prodotti che vanno bene per tutte le stagioni. Chiaramente quando usciranno quelli nuovi non scalzeranno quelli vecchi.

Perché avete scelto un piccione come logo per Notcom?
Matteo: Quando Leftloft ce l’ha proposto subito è entrato nei nostri cuori. Quando vai in giro per la città vedi questi piccioni, e fanno anche un pò schifo per la verità, perchè sporcano. Sono si odiosi ma è anche vero che sono tra i pochi animali che riescono a sopravvivere in un ambiente ostico come quello urbano. Hanno pure loro dei lati positivi.
Giulio: Spesso un logo deve essere glamour o trasversale. Noi abbiamo voluto osare. A Milano essere pedoni e/o ciclisti è una scelta coraggiosa. Il piccione avrà tanti difetti ma è un animale coraggioso.

Propensione per il piccolo e per il particolare sia in Aroundesign che a cascata in Notcom. Mai retorici. E’ una scelta?
Matteo: Non siamo noi a dire che Dio è nel dettaglio. Il designer deve riuscire ad entrare nel dettaglio de prodotto da cui l’attenzione alle cerniere, le finiture, i materiali. Cose che una persona scopre a mano a mano che ha comprato un oggetto, piccoli particolari.
Lavoro molto bello, quello fatto con gli altri partner, per la ricerca della soluzione giusta, di qualità.

Siete designer che amate sporcarvi le mani. Andate in fabbrica per mettere le mani in fabbrica, quasi un design-operaio…
Matteo: In effetti le idee nascono quando sei in azienda e ti chiamano per risolvere loro un problema. In quelle occasioni vedi che buttano del materiale prezioso e da lì, per esempio, che sono nati i vasi Stradivari.

Objectés trouvès!
Giulio: Oggi con la prototipazione rapida, ultima tendenza, si è arrivati ad una deriva che porta ad un contatto asettico con la materia. Tu progetti al computer. Il contatto con la materia è sempre stato un momento fondamentale nella progettazione di un designer: il modello. Sporcarsi le mani è un modo per entrare nel vivo della materia. Quindi oltre ai vantaggi innegabili questa tendenza denuncia un grande limite.

L’amore per la materia si ritrova anche nel packaging di Notcom?
Matteo: Un packaging attrezzato. Con le t-shirt c’è l’omino in cartone, speriamo utile per quando si viaggia. Anche qui leftloft ha lavorato al confine tra moda e design. non è una scatola chiusa, ma aperta. Il prodotto è parzialmente celato perché ai lati si vede. Invita a toccare, a prendere in confidenza.

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Che dire, fatti gli oggetti, manca la regina-madre:a quando la bicicletta Notcom?

Giulio: molti designer si sono cimentati ma senza una ricaduta interessante sul mercato. Studi su leggerezza e dinamicità, e basta. Biciclette iperpieghevoli ma il modello insuperato rimane la Graziella, mitica. Non si deve ragionare sui percorsi ibridi tipo bici+metro, basterebbero delle piste ciclabili e le persone si muoverebbero con facilità. Inoltre Milano non è poi così grande e la bicicletta basta per raggiungere i punti vitali della città.

Il National Museum of Scotland, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Edimburgo, ha aperto le sue sale alle creazioni dei primi dieci anni di vita di Aroundesign (fino al 28.II.05). Complimenti. Dove vi collocate a bordo della nave Design-Italia?
Giulio: Noi siamo la generazione che viene dopo gli allievi dei maestri. Se possiamo dividere il design italiano in ere geologiche, la prima è quella dei maestri (Munari, Castiglioni, Magistretti, Zanuso, Sottsass), poi la seconda, quella degli allievi (Marco Ferreri), poi la terza dove ci mettiamo noi e altri. Abbiamo un atteggiamento molto più understatement.
Il nostro metodo è fatto di leggerezza, ma scientifica. Non è un numero da circo, è una simbiosi che si è creata col tempo e che io e Matteo viviamo.
Siamo un po’ come quelle coppie di comici che da soli funzionano bene ma insieme funzionano meglio.
Quando un’azienda si rivolge a noi e ci richiede un progetto non sa mai cosa deve fare. Magari sta vivendo una crisi: il momento di generare una cosa nuova è segno di un momento di un momento particolare, magari un momento propulsivo che va sostenuto con un progetto buono. Ovvero trasmettere sicurezza, serenità, e affrontare la sfida insieme all’azienda.
Questo è il nostro stile.
Non abbiamo avuto scuole o fatto stage, non abbiamo peregrinato per la Brianza: sembra che fare una sedia sia un battesimo del fuoco… ma provate a fare un tombino.

link correlati
www.notcom.it
www.aroundesign.it 
www.modomilano.it
www.leftloft.com

intervista a cura di M2

[exibart]


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