Non ci si arriva per caso allo studio-museo
Achille Castiglioni, ma intenzionalmente perché l’ingresso sarà anche
gratuito, ma solo se prima si è acquistato il biglietto del Triennale Design
Museum; perché comunque è sempre bene dare un colpo di telefono prima o inviare
una mail per avvertire, così le visite si concentrano in gruppo e c’è meno
dispersione. Bisogna volerci andare, in studio: ma poi non si vorrebbe uscirne
più.
Cosa c’è di così eccezionale? C’è
Achille Castiglioni. Tutto. Cioè: tutto quello che ha
fatto.
Mezzadro,
Arco,
Parentesi e gli
altri. Non solo i pezzi, non solo i prototipi: tutto. Schizzi, disegni,
ordini e fatture: ogni oggetto può esser raccontato dalla genesi, dal confronto
con i poveri pezzi di inconsapevole design quotidiano che Castiglioni
collezionava al grido di “un giorno verrà utile”, fino ai contratti per la
produzione in serie.
Ed è per questo che è nato il progetto d’intervento sullo
studio: per censire e organizzare tutto il materiale, scoprire l’ordine di un
patrimonio sterminato e metterlo a disposizione di tutti. Ed è proprio in
questi termini che si è costruito il vincolo con la Triennale: che sostiene il
febbrile processo di registrazione e archiviazione del materiale. Le risorse?
Poche. I tempi? Strettissimi.
È possibile che l’idea originale fosse quella di
riflettere un po’ della luce del “grande museo” sul piccolo spazio dimenticato.
Oggi vale il contrario: è semmai il museo del design a trarre beneficio nel
dire di esser parente dello Studio Castiglioni. Perché? Eccoli qui: gli
intangibili. Perché entri in studio come una specie di cospiratore, quasi in
punta di piedi; ti appropri del piacere della scoperta, lasci che le scarpe
facciano suonare il parquet un passo alla volta. E viene accolto (travolto) da
Giovanna o dalla sua mamma, dalle collaboratrici storiche dello studio o da
nuove leve entusiaste, che non ti conoscono ma già capiscono cosa può
interessarti, cosa può piacerti, ingolosirti e infine saziarti. E raccontano
tutto con l’ordinata confusione di una Molly Bloom, fra un aneddoto e una caramella,
una ricostruzione filologica e un pettegolezzo che sa di mitologia.Sono questi gli intangibili, è questo l’impagabile, è
questo l’inspiegabile, l’impensabile: che pure passa, conquista, si sedimenta,
ti rimane addosso e non svanisce. È questo il vero “
museo del design”: perché basta questo, pur senza
i
Magistretti,
i
Giò Ponti a
far capire davvero – in cinque minuti – cosa significhi la parola ‘funzione’,
come si relazioni con il ‘bello’, di cosa siano capaci di fare insieme una
testa e due mani.
Non ti stupisci allora se questo piccolo posto da carbonari
sia visitato ogni anno da 4mila persone; e non ti stupisci se dicono che la
comunicazione viaggia tutta sul passaparola, se chi c’è venuto una volta poi
torna con gli amici o li manda raccomandando i saluti. Ma nemmeno ti stupisci
se una visita te la consiglia la
Wallpaper che Phaidon dedica a Milano, o la stessa
Lonely
Planet studiata
sulla città.
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Un gigante che parlava milanese.
Venne al politecnico a tenere una lezione con una valigia stile Eta Beta.
Tirò fuori tre paia di occhiali: un paio scuri, un paio con montatura nera e un paio con naso e sopracciglia.
Li provò in sequenza: " Cun chesti chi sembri n'attore, cun chesti n'intellettuale, cun chesti... un pirla! ".
Forma e funzione spiegate.