Non più tardi di un anno fa, usciti dalla Biennale di Architettura, storditi dal profluvio di installazioni più o meno multimediali dell’Arsenale e dagli scatoloni verde acido di
Fuksas ci siamo chiesti: “Ma quando architetti e designer si sono messi in testa di giocare agli artisti concettuali?”.
Oggi, usciti dalla
BAM – Biennale di Arte Moderna e contemporanea del Piemonte, viene quasi da chiedersi : “Ma quando gli artisti concettuali si sono messi in testa di giocare al designer?”. Nessuna crisi di identità , almeno nel secondo caso. Semmai la divertente proposta di
Riccardo Ghirardini e
Franco Mello di chiamare a raccolta sì artisti – ma anche qualche designer puro e un paio di fotografi – per ragionare insieme sul confine tra arte e design, portando fino ai limiti del possibile la distanza tra estetica, fine a se stessa, e funzionalità .
Linea giĂ avviata lo scorso anno quando la Bam, in aderenza alle manifestazioni per Torino capitale del design, sperimentava una prima apertura verso questa variante del linguaggio artistico,
oggi diventata autentica cifra identitaria della manifestazione, con l’intento di raccontare eccellenze, irriverenze e genialità made in Piemonte. Il tutto in una cornice, mai come in questo caso, azzeccata: gli spazi della Margaria reale di Racconigi, per la prima volta concessi come sede espositiva, che ricordano quando i Savoia scelsero di avviare proprio qui laboratori artigiani in grado di emulare i mobilieri francesi. Come dire, con un po’ di suggestione: alle origini del design italiano.
Ricordate il mitico sofà a forma di labbra prodotto negli anni ’70 dal torinese
Studio 65 guidato da
Franco Audrito? Ecco che la Bam espone
The tongue, poltrona con linguaccia, ideata da
Damiano Spelta, omaggio sotto forma si parodia che traduce il cambiamento di costumi avvenuto negli ultimi quasi quarant’anni, cedendo qualcosa in scompostezza, rischiando quasi la volgarità , ammiccando alla smaccata sensualità della bocca di Mick Jagger icona degli Stones.
E ricordate l’appendiabiti in poliuretano espanso
Cactus, ideato e prodotto sempre a Torino – e sempre nei
seventies – questa volta da
Guido Drocco e
Franco Mello? Eccolo in mostra, in originale, dopo che nella passata edizione avevamo visto la versione “in love”: due piante grasse strette in un ispido abbraccio, unite ironicamente oltre la funzione dell’oggetto.
Via così dunque, attraverso i moderni e innovativi bidoncini per la differenziata di
U-layer, simili ai fumaioli delle navi; per arrivare ai grandi frutti di ceramica di
Bull & Stein, versione macro delle mele finte nelle compostiere della nonna.
A chiudere, le
Migrazioni di
Lorenzo Alagio e
Plumcake, per l’occasione riuniti sotto la sigla
A.PK: qualche centinaio di formelle di plastica riproducono gli organi sessuali maschile e femminile e, munite di piccole zampe d’insetto, invadono il pavimento della Margaria reale, in una marcia disordinata e scomposta, inarrestabile, nei tre colori della bandiera italiana. Con buona pace della retorica sul “made in Italy”.