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volte a turbare l’andamento e l’ordine costituito”. È fra le carte che raccontano la
storia di Dino Gavina (Bologna, 1922-2007), insieme a documenti programmatici, inviti a
mostre, riviste. I tavoli che accolgono le pubblicazioni sono progettati per lui
da Enzo Mari.
Sovversivo significa provocazione, ironia sui comunicati,
sui volantini, sulle cartoline, sul suo biglietto da visita. “Sovversivo”, scrive Vittorio Sgarbi, per
voler “sovvertire il disordine. Perché, nel momento della confusione, Gavina cerca un
ordine nuovo, prefigura la necessità morale della scelta”. E le scelte più significative di
questo eclettico, instancabile ricercatore, alla conquista del nuovo e della
bellezza – conosciuto come designer senza avere mai disegnato un pezzo,
creatore di “presenze”, come lui stesso amava definirle – sono riunite, non a caso, in un
tempio dell’arte contemporanea.
Gavina si nutre d’arte, si esprime attraverso l’arte.
Molti dei suoi oggetti sono il risultato di incontri con artisti come Lucio
Fontana e Marcel
Duchamp. A
partire dagli anni ‘50, nel suo lungo percorso imprenditoriale e creativo,
nascono mobili che oltrepassano il tempo, le mode, la lezione del ’68; oggetti
che parlano nuovi linguaggi, che superano radicalmente la concezione del furniture per diventare simboli
dell’abitare, opere d’arte da vivere.
Nella ricchissima mostra che Bologna gli dedica, si
ritrovano esempi celebri di collezioni dai nomi poetici: emblema della sua
visione dell’abitare, del suo voler consentire una “democratica” fruizione
dell’arte, come necessario pan-estetismo. Ed ecco l’indimenticabile Tripolina, sedia dal sapore primitivo,
divenuta un cult d’arredo; la poltrona Wassily, dal nome di Kandinsky, proprietario dell’unico
prototipo, con fasce in doppio cuoio nero, datata 1927. Il progetto è di Breuer, maestro del Bauhaus. La poltrona
Sanluca, dalle
eleganti forme neo-liberty nate per avvolgere il corpo, la sedia in acciaio e
paglia di Vienna, dedicata a Ceska, la figlia di Breuer, le opere prodotte dal
Centro Duchamp, i componibili che vivono di una loro autonomia anche in singoli
elementi, le lampade Flos.
Una filosofia che contagia pure l’arredo urbano, come nell’Albero
del Bene, omaggio
a Robert Mallet Steven, un albero d’acciaio che si inserisce tra gli elementi ispiratori di
quel Paradiso terrestre che Gavina aveva in mente, dove una seduta ha la forma
di un grande occhio azzurro. Perché la storia dell’uomo è anche e soprattutto la
storia del divenire del rapporto natura/cultura.
Poi, l’Altare della buona fortuna, ispirato a Goethe, un omaggio
alla vita come mistero. Una festa per lo sguardo, dove Tracce è un tavolino rivestito in foglia
d’oro con i piedi a zampe di gallina in bronzo lucidato, in un Paese delle
meraviglie che ricorda la collaborazione con Kazuhide Takahama, e le opere di Sebastian Matta, che per lui disegnò Magritta, una poltrona che pare una mela
verde, ma anche una bombetta capovolta.
Di Man Ray invece c’è il famosissimo specchio ovale che porta la
scritta in nero: les grands trans Parents. Ci sono i cactus d’acciaio, piccoli e grandi fiori,
alberi futuristi, in un giardino dove la natura è il tema del paravento di Giacomo
Balla.
Meraviglie, presenze del quotidiano, che vivono con e tra noi. Quelle che ci ha lasciato
un oltre-uomo.
Dino
Gavina al Mambo, la preview
Il
Compasso d’oro alla carriera nel 2008
mostra visitata il 22 settembre
2010
dal 22 settembre al 26 dicembre 2010
Dino
Gavina – Lampi di Design
a cura di Elena Brigi e Daniele Vincenzi
MAMBo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Don
Minzoni, 14 (zona piazza dei Martiri) – 40121 Bologna
Orario: da
martedì a domenica ore 10-18; giovedì ore 10-22
Ingresso
libero
Catalogo Corraini
Info: tel. +39 0516496611; fax +39
0516496600; info@mambo-bologna.org; www.mambo-bologna.org
[exibart]