È una storia che merita di essere ascoltata quella di
Pio Manzù (Bergamo, 1939-1969), perché è una storia che non è mai stata raccontata, visto che non è mai stata scritta. “
Incredibile che, fino a oggi, non sia mai stato scritto nulla su di lui. Niente!”, spiega uno dei tre curatori della mostra, Beppe Finessi. Le vicende della vita di Pio Manzù sono ricostruite per la prima volta, in occasione di questa personale bergamasca, attraverso progetti, schizzi e disegni. Ed è così che il visitatore riesce a “leggere” la storia del giovane designer: attraversando le quattro sale dell’esposizione e studiando i suoi prototipi.
Figlio dello scultore
Giacomo Manzù, Pio, nato e cresciuto in una casa in cui si respirava arte, decide di indirizzare la sua creatività verso il mondo funzionale degli oggetti. Parte così da Bergamo alla volta di Ulm e frequenta la rinomata scuola di design negli anni del suo splendore. Seguito da grandi docenti come
Tomas Maldonado e
Max Bill, e affiancato da compagni di studi come Giovanni Anceschi, Pio arricchisce la sua formazione imparando i linguaggi della comunicazione grafica e le nuove tecnologie industriali.
La sua tesi di laurea,
Sviluppo di un trattore (1965) è la dimostrazione del fatto che Pio Manzù sapeva progettare per il mondo reale, un mondo che sapeva osservare e studiare. La progettazione della centina per i trattori a protezione del lavoratore, per esempio, evitò molte morti sul lavoro per il ribaltamento dei mezzi.
È proprio questo primo studio ergonomico a proiettarlo nel campo del design automobilistico. Durante la collaborazione con la Fiat, sotto il nome di progetto
Autonova (1964) nascono molti prototipi, come i modelli
Autonova GT e
Autonova Fam, fino alla realizzazione della
Fiat 127, che vince il Premio auto dell’anno nel 1972 e viene distribuita in tutta Europa. Tutti gli autoveicoli che progetta hanno due semplici caratteristiche: funzionalità e praticità. Quando il mondo era moderno, Pio aveva già capito che si doveva indirizzare la progettazione verso le necessità delle persone, e già sviluppava soluzioni pratiche con estrema lucidità.
Gli anni centrali della sua carriera di designer sono raccontati dai disegni tecnici fatti a mano e da tavole a colori, in cui Manzù metteva in pratica gli studi ulmiani, e da modellini in scala di ogni singola autovettura. Sale vivaci e colorate mettono in luce quello che doveva essere il carattere di un artista in costante ricerca dell’associazione tra forma e funzione.
Nel mondo moderno, oltre alle autovetture, servivano anche oggetti comuni, ai quali aveva pensato senza l’immancabile eleganza: i prototipi variano da tavoli girevoli a valigette portaoggetti, da contenitori per la scrivania a bicchieri e bottiglie per Cinzano. Fra tutti i prototipi, spicca
Cronotime (1968), orologio snodabile esposto oggi al MoMA e, secondo Finessi, “
un oggetto assoluto, figlio di una struttura variabile determinata da una intelligente e matematica sfida alla geometria tradizionale”.
La tragica scomparsa di Pio Manzù a soli trent’anni (ironia della sorte, per un incidente d’auto) lascia in eredità un’incredibile ricchezza di prodotti, tutti adatti a una modernità di cui era stato all’altezza come un vero protagonista. Non rimane che l’amarezza di pensare a cosa avrebbe potuto creare un designer moderno, se fosse arrivato fino al mondo contemporaneo.