Ironicamente ingabbiato in una struttura austeramente labirintica, che in tutto e per tutto richiama un rigorosissimo e celeberrimo posacenere datato ‘55, il Museo Nazionale di Stoccolma porge un meritato tributo a Stig Lindberg (Umeå 1916 – San Felice Circeo 1982), a poco meno di 15 anni dalla morte.
© Stig Lindberg – Meet the man behind the cup è un’eccellente retrospettiva. Non solo racconta l’opera di un disegnatore che ha profondamente segnato il gusto scandinavo, ma anche la storia dello spinoso rapporto arte/industria, la cui evoluzione dagli anni ’40 agli anni ’70 è abilmente ripercorsa a suon di esempi pratici e ottime tavole didascaliche.
Reso famoso dalla mostra Earthenware painted in spring del 1942, che presentò per la prima volta al pubblico svedese un immaginario di forme tra il geometrico e il fitomorfo candidamente immerse in uno scenario di gioiosa produttività e cooperazione pre-socialdemocratica, Lindberg si è dimostrato nel corso della sua carriera un protagonista assoluto del misurato buon gusto nordico, e come tale ufficialmente riconosciuto (per ben tre volte insignito della medaglia d’oro alla Triennale di Milano 1948, 1951 e 1954). Fino a concludere il suo percorso da professore, presso il Konsfack di Stoccolma, l’accademia d’arte e design per eccellenza in Scandinavia.
Tutto è in mostra, e tutto è stato prontamente riprodotto e messo in vendita nel non proprio memorabile bookshop del museo: le prime ceramiche decorate degli anni ‘30 e ’40, ancora estrosamente naif, e gli incantevoli libri per ragazzi. Ma anche i tessuti, splendidi, che a partire dalla metà degli anni ’40 raggiungono il perfetto equilibrio tra un codice visivo preso in prestito da geometrie quasi di pittura vascolare greca, vitali incursioni in una modernità scopertamente curvilinea e ricorrenti presenze organiche, principalmente in forma di alberi infiniti, viticci rigogliosissimi, che offrono un fin troppo palese riferimento ai noti motivi della simbologia cristiana tardo antica.
Indiscussa celebrità della mostra, ovviamente, la ben nota produzione di ceramiche creata da Lindberg durante la sua lunga collaborazione con la Gustavberget. La linea è principalmente una, la “LL”, saggio impareggiato di funzionalismo. Discreta, elegante ed economica, fu la prima linea prodotta e venduta in singoli pezzi, rompendo dunque i canoni del “servizio buono” da 12 (idea questa che fu già di Wilhelm Kåge nel 1933, con troppo anticipo sui tempi), bello ma poco spendibile per la pratica e concreta classe media svedese degli anni ’60.
E proprio su “LL” si sbizzarriscono le numerose fantasie disegnate da Lindberg (Berså, Bohus, Åland, Linnea, Blå husar) ancora oggi reperibili in commercio, proposte, come allora, in colori differenti. Costante il motivo della foglia, destrutturato, ristrutturato, adattabile alle due come alle tre dimensioni, evidente paradigma di un unico concetto di fondo: fare del feedback materia d’ispirazione, creare ciò che piace o può piacere, educare il gusto del pubblico partendo dal gusto del pubblico.
Designer e uomo d’affari uniti nella stessa persona nell’età dell’oro della creatività svedese. Ma è possibile, si chiedono infine i curatori Karin Linder e Micael Ernstell, che il miracolo avvenga di nuovo? Si consiglia un’accurata riflessione.
silvia colaiacomo
mostra visitata il 15 settembre 2006
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sono appena uscita dalla mostra. il tuo articolo e´il racconto perfetto di quanto ho visto e sperimentato. complimenti per l´incisivita´ della tua scrittura.
a presto
nerina