Categorie: Design

design_mostre | The New Italian Design | Milano, Triennale

di - 26 Febbraio 2007

La prima cosa che colpisce visitando Il paesaggio mobile del nuovo design italiano è quanto poco “italiano” sia il design delle nuove generazioni. Non per provincialismo o esterofilia. Al contrario, questo nuovo design, ormai ufficialmente “liquido”, fa parte di fatto e di diritto della vera Europa che sta nascendo, quella fatta da Ryanair, dall’Erasmus, da Internet. Gli oggetti che fioriscono in primavera a Milano o in autunno a Londra sono frutti dello stesso design made in Europe, di questa energia infralinguistica debole e in rete, vaporosa e affrancata da etiche/estetiche da “applicare” e per ciò tanto più invasiva e variegata.
La mostra, concepita come aggiornabile e itinerante (prossima tappa Tokyo Design Week 2007), presenta i risultati del censimento The New Italian Design, lanciato dalla Triennale in aprile 2006 e rivolto a progettisti, art-director, consulenti ed esperti di comunicazione allo scopo di mappare la scena del nuovo design italiano, anche per creare un database di progetti.
È tuttavia non senza qualche perplessità per alcune delle scelte curatoriali che viene infine presentata al pubblico la selezione degli eletti, i cui oggetti (quasi tutti di piccoe dimensioni), vengono esposti come pietanze su un nastro trasportatore. È il design in tutte le sue declinazioni attuali: product, interior, graphic, fashion, food, jewel, research. Quasi assenti i cimenti classici del design, ridotti a sporadiche apparizioni di poche lampade, qualche mobile d’arredo, rarefatte sedute.
Tra i 121 nomi selezionati scontata la presenza di quelli attorno a cui si è venuto condensando il nuovo lessico della liquidità: JoeVelluto, Paolo Ulian, Lorenzo Damiani, Matteo Ragni, Giulio Iacchetti, insomma quelli di Salefino. Accanto a loro, i lavori non meno interessanti di Massimiliano Adami, Adriano Design, Dodo Arslan, Alessandra Baldareschi, Denise Bonapace, Pier Busetti, Antonio Cos, Carlo Dameno, Brunella Caccaviello, Alessandro Ciffo, Silvia Cogo e Massimo Fenati, ma anche di Gumdesign, Gabriele Pezzini, Elio Caccavale, Lorenzo Gecchelin, Luisa Corna, e ancora Opos, Esterni, GruppoEXP.

Impossibile citarli tutti. Sono tanti, e il loro numero la dice lunga sulla fisionomia di questo nuovo design.
Come sottolinea il curatore Andrea Branzi, infatti, il design, da attività riservata a pochi geniali architetti, è diventato professione di massa. Il numero di persone coinvolte in studi, aziende, scuole e riviste è impressionante. Il passaggio dal progetto del prodotto industriale all’innovazione generalizzata e continuativa dà a questo design una consistenza porosa che pervade oggetti, comunicazione, strategie, direzioni artistiche.
A differenza di quella dei Maestri, che si erano formati nelle facoltà di architettura e il cui lavoro rispondeva in primis ai bisogni delle aziende, le proposte che sgorgano da questi ex-studenti di scuole di design sono epifenomeni di una vitalità che viene dal basso, dal milieu globale generato/sperperato nella circolazione di immagini, idee, file, parole. Design non è più sinonimo di disegno industriale. È il modo, caratteristico del nostro tempo, di fronteggiare una condizione antropologica brulicante di oggetti che fremono per essere ri-processati.
Riusciamo infine a intravedere il profilo che avrà il futuro. Sarà creativo. Pervaso ad ogni angolo da ideazioni pulviscolari che faranno fronte all’inarrestabile trasformabilità delle cose. Lo si vede dappertutto. Ogni cosa è fluente, fresca, aleatoria. E come l’aria, quando cerchi di afferrarla si è già spostata di lato.
È allora di un design laterale che stiamo parlando, un design che –come il pensiero laterale di Edward De Bono, che punta a sbloccare non i contenuti di pensiero ma le forme a priori che ne indirizzano il flusso– non mira a ribaltare il Sistema ma ad intrufolarsi di lato, sommessamente, con lo scopo non di immettere ulteriori forme nell’ambiente ma di alterare i presupposti impliciti che danno/tolgono forma all’esperienza della quotidianità.

Non ci sono più “rappresentazioni” in cui forzare una realtà riottosa ad essere trasformata. L’ambiente con cui hanno a che fare i protagonisti del nuovo design europeo è piuttosto riottoso a non essere trasformato. I loro interventi, più che “progetti“, sono blitz fra le maglie divenute instabili del parco oggetti, enzimi corrosivi che intaccano ai fianchi la Struttura per concentrarsi su ciò che la Storia ufficiale ha sempre lasciato ai margini (come le donne). E invero, a prescindere dal genere sessuale c’è molto di femminile in questo nuovo design, così lieve, inafferrabile, premuroso e allo stesso tempo risoluto, attento all’inesauribile delicatezza delle piccole cose e avvezzo alle sfumature dietro cui si celano i vuoti d’identità.
Dopo il Progetto, tutto maschile, concepito come strumento della Ragione e dominio della Forma, quello a cui ci apriamo oggi è un design che non veicola ideologie ma sensazioni; sono oggetti il cui lavorio non impone modelli ma li scioglie; “segni” che non cambiano il mondo ma non lo lasciano nemmeno essere quello che è. Un design che non parla più di noi, ma con noi.

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The New Italian Design – Il paesaggio mobile del nuovo design italiano
20 gennaio – 25 aprile 2007 – A cura di Andrea Branzi
Triennale di Milano, Viale Alemagna, 6 – 20121 – Milano
Ideazione e coordinamento: Silvana Annicchiarico
Comitato di selezione: Andrea Branzi, Silvana Annicchiarico, Alba Cappellieri, Arturo Dell’Acqua Bellavitis, Carmelo Di Bartolo, Anna Gili, Cristina Morozzi, Stefano Maffei, Mario Piazza – Ingresso: € 8,00; € 6,00; € 5,00
www.triennale.it


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