Ma quale
talento si nasconde dietro al gusto grafico della sala da bagno più famosa del
Novecento, entrata nella storia per aver sovvertito gli opulenti codici degli
anni ’80 con la predilezione per semplici piastrelle, rianimate in virtù di un
deciso accostamento psichedelico?
Quello di
Andrée Putman, oggi celebrata con una retrospettiva all’Hôtel de Ville
sotto l’egida della più alta carica cittadina, il maire Bertrand Delanoë, è un
profilo umano e professionale fuori dall’ordinario, un amalgama di elementi
eclettici in potenziale corto circuito, eppure capaci di convergere in una
sintesi univoca e sublime, frutto di impulsi e curiosità biografiche più che di
una spiccata propensione progettuale.
Un dato che
spiega l’arrivo imprevisto di una notorietà quasi accidentale, propria di chi
ha lavorato con disciplina ma senza accanimento a vocazioni espressive
divergenti: bambina dell’altissima borghesia avvezza alle più alte espressioni
del gusto della propria classe sociale; pianista e compositrice di riconosciuto
talento fino ai 20 anni; moglie e musa per intellettuali e artisti della
Francia della contestazione; a seguire, stylist e imprenditrice fuorimoda, la
prima a rimettere in produzione – con la società Ecart da lei fondata – i
mobili dimenticati di Mariano Fortuny, Eileen Grey e Robert
Mallet Stevens.
Una parabola
lunga ed eccentrica, per una donna di cinquant’anni, che in virtù della sua
singolare personalità può godersi il lusso di rimescolare le carte e dar vita,
con una nuova carriera a capo dell’agenzia di design Studio Putman, a un
portfolio capace, nei 25 anni a seguire, di reinterpretare l’identità di luoghi
e brand autorevoli con un inusitato gusto dell’ossimoro.
Eccellenti, e
tutti francesissimi, gli esempi che ne danno una testimonianza. Un buon inizio è
l’ufficio di un Jack Lang ministro
della cultura in rue de Valois, in cui le decorazioni barocche si confrontano
con le totemiche geometrie dei mobili anni ‘80, armonizzandosi soltanto nella
continuità degli infiniti toni del beige.
Altri
riferimenti, in ordine sparso, sono il progetto del Concorde, in cui Putman
rinuncia agli stilemi da jet-set per incarnare un lusso trattenuto e allo
stesso tempo confidenziale. O, ancora, lo showroom Guerlain sugli Champs,
capace di dare più risalto a lampadari e stucchi in stile impero sacrificandone
il protagonismo e la percezione dell’integrità. O, infine, gli interni
dell’abitazione di Bernard Henry Lévy a Tangeri,
per il quale Putman ricava uno spazio etereo e aperto all’esterno, in continuo
dialogo con la vista del mare che lo circonda.
Comune a
tutti questi casi, è il trait d’union dato da alcune cifre che ritornano
continuamente: l’amore per i colori-non-colori e per la luce che si modula
nell’ombra, un minimalismo che dà più risalto ai volumi rispetto che agli
oggetti, e il fiero predominio della bellezza sul primato tirannico della
funzionalità.
Stesse cifre,
peraltro, che ritroviamo nel sobrio allestimento dell’esposizione, curata dalla
figlia Olivia, ora succeduta alla madre al timone di Studio Putman. In mostra,
tra mobili e complementi d’arredo, anche un vasto corpus fotografico, tra cui
gli scatti di interni di Deidi von Schaewen, fino alla ricostruzione, senz’altro
l’attrattiva più eccitante del percorso, del bagno del Morgan in scala 1:1.
giulia zappa
la rubrica design
è diretta da valia barriello
[exibart]
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