Nel turbinìo degli eventi Fuori Salone, la Milano del design mostra il suo animo più vitale, con quasi 400 eventi sparsi per la città. Nel quartiere Bicocca, dove l’Università omonima avrebbe dovuto innescare un circolo virtuoso di riconversione -che stenta a decollare-, le enormi strutture di Pirelli Real Estate non hanno certo trovato l’adeguato sostegno da parte dell’amministrazione comunale e regionale. Al punto che l’idea di trasformare l’hangar in un centro espositivo è naufragata: l’ennesimo caso in una Milano che non riesce a sopire diatribe personalistiche decennali.
Proprio nella mastodontica struttura ex-industriale, nella cui parte antistante sono ancora ospitati I Sette Palazzi celesti di Anselm Kiefer, sono riuniti i progetti di alcuni designer di fama internazionale.
Un classico salon des refusés che in gran parte si sostanzia in pannelli illustrativi, com’è inevitabile per elaborazioni che talora sono rimaste nella fase antecedente al prototipo. Per esempio, Piero Lissoni aveva proposto una linea d’occhiali a un’azienda che mai ne aveva prodotti e che -ironia della sorte- decise di continuare a non farlo! Mentre Alberto Meda inviò, proprio in Giappone, una Teiera Basculante che avrebbe permesso di interrompere agilmente l’infusione del the.
Niente da fare: troppo rituali in Estremo Oriente, troppo disinteressati in Europa.
Ma se casi del genere sono giustificabili, che dire della splendida seduta di Marcel Wanders, che Magis non accettò perché “il prezzo di produzione sarebbe stato troppo basso”? Un esito simile hanno conosciuto alcune sedute di Christophe Pillet. E il potenziale di frustrazione che le aziende detengono nei confronti dei designer è una cifra che si ripropone nelle forme più imbarazzanti, come dichiara Denis Santachiara, parlando del suo Spremiagrumi a doppia testa: “Questo progetto fa parte di una collezione di casalinghi per una grande azienda tedesca. Le proposte più semplici e banali sono state accettate, ma questo oggetto non ha avuto seguito. Secondo me era l’unico che corrispondeva al brief, ma l’inutilità del marketing ha vinto”. È Magis l’azienda più rappresentata, e le vie del marketing sono infinite: non sarà una paradossale operazione pubblicitaria? Fatto sta che “in magazzino” è finito anche il tavolo Centotredici di Roberto Paoli, tutto da montare e adattare alle esigenze degli acquirenti.
Stessa sorte pure per la Blob Chair del vulcanico Karim Rashid, presente anche da Gaia&Gino con set componibili sale-pepe-ecc. che formano skyline del Bosforo e bicchieri double face.
Non è da meno Cappellini nel rifiutare i progetti di designer (quasi) star, da La casa reticolare di Matali Crasset alla Galvo Chaise di Tom Dixon.
Ma non è solo “colpa” delle aziende, poiché talora sono proprio i progetti a non funzionare, come la bicicletta in plastica di Jasper Morrison, oppure sono le amministrazioni a cambiare colore politico e dunque a non ratificare proposte ecologiche come quella di Michael Young per Taiwan. O infine, in un caso non avremo possibilità di sapere se il progetto sarà mai concretizzato, poiché Marc Newson ha disegnato un’auto-on-demand per segreti miliardari mediorientali. Scopo? Animal-watching!
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