Categorie: Design

design_talenti | Büro für form

di - 8 Febbraio 2005

Il fatto è che un oggetto oltre alla funzionalità dovrebbe avere anche un pizzico di poesia. Così dicono –e la pensano- quelli di Büro für form, al secolo Costantin Wortmann, Benjamin Hopf, Alexander Aczél: studio di progettazione nato nel 1998, Monaco based. Ed in effetti, non fa una grinza: basta sfogliare qualcuna delle loro realizzazioni –che vanno dall’oggetto, al sistema di illuminazione, dall’interior all’industrial- per averne immediatamente la misura. Forme semplici, più di una memoria bauhaus e poi il fattore “inaspettato”, quella agognata componente poetico-surreale che quando funziona, se funziona, dà l’anima al design.
Un esempio da pescare in un passato non troppo lontano (2000) è la sedia Il crollo, prodotta da Kundalini, con le due gambe che si flettono pericolosamente e lo schienale sghembo: il resto –si fa per dire- è tutto ok e il candido colore non fa altro che enfatizzare l’assurdo, utilizzato qui puntualmente come metodo e come struttura. Assurdo che mutatis mutandis tornava pure in alcune precedenti realizzazioni, il pennello “da dita” Fingermax, che gli ha fruttato l’IF Design Award nel 2000, le lampade FlapFlap e Dicke Trude (’99, entrambe per Next): entrambe citazione della più scontata delle abat jour, che nel primo caso si regge letteralmente in equilibrio u un filo e nel secondo s’avvita a testa in giù dove uno preferisce.
Altrove sono le forme organiche a farla da padrone, sempre e comunque scevre di qualsiasi orpello: la sedia Flight (2002, per Habitat), leggerissima, è pensata come un foglio di carta piegato, la serie Liquid Lamps (2001, per Next) riprende la forma naturale di una goccia allungata.
Interessante è uno degli ultimi progetti di Büro für form, un sistema di illuminazione modulare, basato su una semplice, ma assai convincente idea di aggregazione: Molecular_light. Un pezzo singolo, una sorta di sfera allungata bianca satinata, funziona come luce da tavolo o d’ambiente, può essere montato su un’apposita asta, come un lume, oppure lasciato a terra, tre o quattro assemblati danno vita ad un’infinità di soluzioni: dall’applique al lampadario. In nome di quella praticità un po’ teutonica che è da sempre imperativo del design, senza dimenticare il potere sottile dell’immaginazione, quello che agli oggetti dà un’altra vita. E che, nella migliore delle ipotesi, magari li traghetta nell’olimpo degli oggetti senza tempo.

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