Accade in Francia, a Parigi. Un’avventura, quella di Dezides, che vale la pena di raccontare. Fondata da Yvon Poullain (a capo della DIAM azienda leader nel packaging, per intenderci con clienti come L’Oreal) e Jean-Pierre Vitrac (Grand Prix National du Design nel ’93) è stata una compagnia fuori dal comune: li avresti detti cool hunter perché in effetti andavano a caccia di novità, ma controtendenza. O meglio contro tutte quelle tendenze che finiscono per somigliare all’omologazione. Così Dezides proponeva temi sottoforma di concorsi d’idee e produceva i prototipi più interessanti. Un modo per far dialogare –in modo del tutto inedito- giovani (e promettenti) product designer ed industrie. Proponendo agli uni di rinunciare alla sola istanza estetica e alle altre di guardare oltre le solite soluzioni. Il risultato? Una mostra nel 2003 –Active Light– sicuramente degna di nota. Poi –recentemente- Dezides cessa le attività. Come tutte le utopie, gli tocca scontrarsi con l’imminente realtà. Non è un fallimento, piuttosto la presa di coscienza che è necessario cambiare strategia. E intanto Dezides resta una case history. Da raccontare…
Jean-Pierre Vitrac, designer…
Autodidatta –self made man ça sa va sans dire- quando ho iniziato la parola designer neanche esisteva. Così ho immaginato un mio modo di fare questo lavoro, inziando dal packaging, poi i displays e –dopo- gli oggetti. Ho uno studio con 35 persone a Parigi dedicato solamente al product design in vari campi. Ne ho avuto uno in Giappone per otto anni. Adesso noi siamo organizzati come un vero e proprio pool, un design network che lavora con clienti in Giappone, Cina, Norvegia, Spagna…
Una particolarità io non ho mai voluto firmare i miei oggetti. io lavoro per e con le compagnie e penso che il product design non sia arte o show biz.
Cosa ispira il tuo lavoro? È possibile rintracciare una nuova linea di tendenza che attraversa il design?
Ci sono due modi per essere designer: uno è lavorare come art designer, l’altro è lavorare come industrial designer. Nel primo caso le tendenze (ed in certi casi la vera e proprio sopravvivenza) viaggia attraverso le riviste e… la ricerca di notorietà. Ma il problema è che questo è un campo d’azione limitato ai mobili, ai complementi d’arredo e alla moda.
La mia esperienza è quella di un industrial designer e questo significa lavorare con diverse compagnie: ho progettato arredi urbani, radio, sistemi di illuminazione, orologi, valige, articoli sportivi…
La tendenza più nascosta da rilevare è che molte industrie hanno bisogno di creatività per il loro sviluppo. E questo ovunque nel mondo. E’ necessario però che i designers sappiano fronteggiare problemi molto più complessi che la solo istanza estetica.
Il modus operandi di Dezides è stato molto particolare. Puoi spiegarcelo brevemente?
Nessuno sembra effettivamente interessato a parlare di industrial design. L’idea era (di)mostrare che anche questo è design creativo, in modo da portare un reale cambiamento nell’evoluzione della strategia delle compagnie. Volevo creare prodotti originali per il mercato di massa e non solo esclusivamente edizioni limitate per gallerie e musei.
Per questo avevo fondato Dezides: per aprire la discussione…
molti giovani designers considererano il design simile all’arte senza pensare a quello che vogliono davvero le persone. È stato molto difficile selezionare i porgetti badando – in termini realistici- alla possibilità di produzione, al low cost al concetto d’uso e d’immagine. I più interessanti sono stati quelli basati sulla mobilità della luce. Oltre le forme, perché una forma può evolversi, il concetto è molto forte.
Quali sono stati gli obiettivi raggiunti da dezides?
Una mostra, un libro (edito per l’occasione), un apparto di comunicazione e divulgazione dell’evento notevole, tra riviste, aziende e professionisti di settore… il nostro obiettivo non era tanto promuovere la creatività dei giovani designer, quanto mostrare alle industrie come questa sia assolutamente necessaria ed imprescindibile al loro sviluppo.
Il secondo tema proposto da Dezides è stato let’s play a game. puoi raccontarmi come è andata quella volta?
Siamo stati costretti a cancellare quel progetto. La mia idea era idi portare i designer a lavorare sul concetto: immaginare ex novo un gioco da tavolo, il concetto, le regole, fino al prosotto stesso, il packaging, come presentarlo al pubblico… il risultato è stato pessimo: abbiamo ricevuto più di 200 progetti, ma la maggiorparte badavano solo all’estetico, senza alcuna riflessione.
…E poi che cosa è successo?
Recentemente –purtroppo- Dezides ha dovuto cessare la sua attività per molte ragioni. Prima di tutto la difficoltà di ottenere una qualitativa ricerca di design, costi realmente troppo alti per ogni call for projects, ma anche difficoltà ad ottenere riscontro e legittimazione. Parlare di product design controcorrente rispetto al trend dello show biz design è un’impresa complicata.
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a cura di mariacristina bastante
[exibart]
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