La Milano Design Week, denominazione ufficiale con la quale il Cosmit, ovvero l’ente promotore, da quest’anno ha deciso di ribattezzare il Salone del Mobile di Milano, forse per dargli un tono un po’ più internazionale, è comunque da sempre – nome a parte – da tutti riconosciuto come l’evento più importante a livello planetario per quanto riguarda le nuove tendenze nel mondo dell’arredamento e del design in generale.
La kermesse milanese, soprattutto per merito del sempre più affollato panorama degli eventi fuori-salone ubicati in giro per la città, ha riconfermato la sua attitudine propositiva anche nell’ultima edizione appena trascorsa. E proprio negli appuntamenti tenutasi fuori dai padiglioni fieristici si è potuto scorgere quel pizzico di sperimentazione che le aziende presenti in fiera invece difficilmente assecondano.
Alla Fabbrica del Vapore, ad esempio, OneOff ha presentato la sua prima collezione Industreal, inaugurata con una interessante mostra dal titolo In dust we trust. Nella polvere loro credono, è proprio il caso di dirlo. Tutti gli oggetti esposti, infatti, sono stati realizzati con una comune polvere di gesso, tenuta insieme da una miscela di acqua e colla vinilica. La cosa insolita, comunque, è il processo produttivo con il quale questi oggetti sono stati ottenuti. Senza l’ausilio né dei classici utensili, né delle comuni tecniche di produzione industriale, bensì tramite moderni sistemi di prototipizzazione rapida. Quelli, per intenderci, che solitamente vengono usati per ottenere i primi prototipi di studio. E che in questo caso, invece, sono stati usati per liberare il designer dagli abituali vincoli produttivi seriali che impongono grandi numeri e spesso limitano la creatività.
Anche nel circuito di Zona Tortona, per la precisione negli spazi del Superstudio Più, un gruppo di giovani designer francesi proponeva la propria collezione di lampade realizzate, come pezzi unici, attraverso processi di prototipizzazione rapida. In diversi luoghi del fuori-salone, inoltre, era possibile scorgere qualche esperimento realizzato con questa tecnologia. Sicuramente questa non è una idea nuova, ma solo in questa edizione la si è vista utilizzata da così tante parti. Già Ron Arad -un paio di anni fa- aveva esposto alla galleria Giò Marconi la sua collezione No Hand Made, costituita da vasi e altri complementi d’arredo realizzati con analoghe tecniche. Ma allora il suo esempio era rimasto un po’ isolato, a causa degli alti costi di realizzazione che certamente solo un designer affermato ai tempi poteva permettersi.
raffaele iannello
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