Di che si tratta? Della prima fiera di design partenopea, ma non confondetela con le esperienze da Fuori Salone o Design Miami, giusto per citare due esempi.
Questa, come ci ricorda la curatrice e ideatrice Domitilla Dardi (insieme a Emila Petruccelli), è una fiera dove i prodotti esposti non sono “limited edition”, per esempio, ma nonostante questo mantengono una profonda autenticità, e anche freschezza.
Nelle sale e nei corridoi di San Domenico, infatti, la percezione non è mai quella di un sovraffollamento, ma piuttosto di una scoperta continua – angolo dopo angolo – di artigianalità, di “oggettualità green”, di prodotti che oltre ad essere belli (e funzionali) sono anche intelligenti e raccontano di tradizioni ed evoluzioni di antiche tecniche e rimesse in atto di saperi.
Lavoriamo a questo progetto da un paio d’anni, da quando ci è venuta in mente questa formula. Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo concretizzato e siamo decisamente soddisfatte del risultato, ci racconta Domitilla Dardi (curatrice esterna anche per il MAXXI) mentre ci mostra i progetti inediti che diversi stand (designer e aziende) hanno proposto per l’occasione.
Ma ecco qualche progetto curioso, che abbiamo scoperto per l’occasione. C’è per esempio Domenico Orefice, che con Le Terre – grazie alla collaborazione con la start up pugliese Madeinterra, ha sviluppato una serie di vasi in terra cruda che rimandano al nostro universo antropico atavico, ma che hanno forme estremamente contemporanee. Sempre della serie “chi l’ha detto che i materiali antichi non possono essere usati oggi” ecco la giovane Victoria Episcopo e la sua foglia-dondolo in ferro battuto, le cui parti “di scarto”, il “negativo”, sono state utilizzate e ossidate per una grande specchiera. Un trono delizioso e romantico, che porta un titolo altrettanto curioso: Monstera Deliciosa.
A proposito di vasi, poi, sugli scaffali dello spazio milanese Subalterno1 (foto sopra) ecco i prodotti che sono passati (autoprodotti per mostre o esposti in occasione di collettive) in via Conte Rosso, a Lambrate, dal 2011: vasi di Paolo Ulian, Carlo Contin, Antonio Cos, Andrea Gianni… “perché un vaso è un tipo che spesso viene usato dai progettisti per sperimentare idee”.
E di vasi bellissimi, invece, è pieno l’allestimento di Andrea Anastasio per Ceramica Gatti 1928 di Faenza, laboratorio del quale il designer è diventato recentemente anche direttore artistico. Da non perdere i Lustri d’Alta Quota, che mixano il riflesso metallico della lavorazione degli smalti (processo che ha reso famosa la bottega) che un tempo ricoprivano campanili e minareti, insieme a funi e cime per barca e per roccia a formare un nuovo prodotto dove l’Art Nouveau vive di una attualissima rivisitazione.
Da non perdere anche le ceramiche coloratissime ed espressioniste di Coralla Maiuri, insieme al super-tecnico design di PAN999, ovvero le pentole e padelle disegnate da Tobia Scarpa composte da un’anima di argento puro, metallo che permette un nuovo e antichissimo modo di cucinare per il suo essere ottimo conduttore di calore (permette di tenere basse temperature) e antibatterico.
Gaetano di Gregorio, invece, con la sua Lapìdea, rimette mano – nel vero senso della parola – alla composizione di oggetti (vasi, piatti) ceramici. “Un lavoro sulla materia e sul tempo” di ricomposizione, utilizzando gli stessi aggreganti, miscele e accumulazioni, ma lavorando con la complicità dell’idea di ready-made.
Infine, se cercate qualcosa da mettervi in casa ma non sapete da dove iniziare – e non avete la possibilità di passare a EDIT – vi consigliamo un giro online su Pamono, realtà europea specializzata nel rivendere design. E le storie che vi stanno dietro.
Per ora però, la buona notizia, è che il design è definitivamente arrivato – nella sua forma più lirica e autentica – all’ombra del Vesuvio! (MB)
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