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Dal 2009, lo studio Cappelli Identity Design si fa largo nel mondo del design a suon di grandi progetti, portando con sé il nome di Roma – sua città natale – che torna ad affiancarsi a quello delle già affermate capitali delle nuove forme contemporanee. A Emanuele Cappelli, fondatore dello studio, già docente di Graphic Design alla Rome University of Fine Arts (RUFA), si deve l’istituzione e la direzione artistica del RUFA Contest: il concorso si distingue in Italia nello svelare nuovi talenti sotto la luce di grandi guests, ultimo tra tutti David LaChapelle.
Il 2019 si rivela essere un anno eccezionale per lo studio, che in 12 mesi firma l’allestimento dell’Italian Pavillion in tre dei maggiori festival del cinema internazionale: 75mo Festival del Cinema di Venezia e 72mo Festival di Cannes (2018) e, ancora, 76mo Festival del Cinema. Lo studio, che solo pochi mesi fa annunciava l’investimento di 1 milione di euro per il design sulla città di Roma, col suo incedere dimostra che chi dà, riceve. Unico metro, la sensibilità.
Abbiamo raggiunto Emanuele Cappelli per farci raccontare del rapporto tra cinema e design e per qualche anticipazione sui prossimi progetti.
Alla 76° Biennale Cinema abbiamo visto un omaggio al cinema italiano degli anni ’60, quest’anno protagonista è stata la laguna. Come si sceglie e sviluppa il tema di un padiglione per eventi di questa portata?
«Per progetti complessi come questi, lavoriamo a quattro mani con esperti esterni che possano aiutarci a focalizzare il tema. Nel caso di Venezia 76, per lo sviluppo del concept abbiamo lavorato in simbiosi con Raffaele Simongini, critico cinematografico che ci ha fornito un’imprescindibile ricerca storica per poi sviluppare insieme l’idea del 50enario del ’68. Siamo andati quindi a ripercorrere quelle che erano le influenze grafiche relative al product design di quegli anni, dal ’62 fino agli anni 70, quando si lavorava molto con progetti di optical art, sia a livello visuale sia di allestimento del set. Abbiamo ripreso i pattern dai film di Elio Petri, Mario Bava, Fellini e li abbiamo rielaborati in chiave contemporanea. È così che lo scorso anno è nato questo tunnel interattivo composto completamente da specchi dove l’immagine si moltiplica all’infinito.
Quest’anno l’omaggio alla laguna è stato dovuto anche a ragioni pratiche e determinato dalle dinamiche organizzative del Ministero dei Beni Culturali, che con l’Istituto Luce e la Biennale sta alla base dell’amministrazione. I tagli alla cultura sono stati tantissimi rispetto allo scorso anno e il processo di progettazione è stato attivato molto tardi. Abbiamo dovuto rinunciare alle tecnologie e abbiamo proposto una strada in qualche modo istituzionale, ripercorrendo l’essenza di una città a noi già ben nota: personalmente mi sono occupato della direzione creativa e dell’allestimento del Padiglione Italia nel 2008, per poi con lo studio occuparci per altri quattro anni ad altri progetti che ripercorrevano sempre l’identità di Venezia. Per ottimizzare il tutto abbiamo ripreso alcuni concetti chiave come il riflesso e i colori della laguna, il fervore artistico e la grande iconologia legata al Leone di San Marco. Abbiamo elaborato i pattern, rilevandoli in origine dalle pavimentazioni storiche della città».
Il lavoro svolto per il 72° Festival di Cannes, invece, lo avete riproposto in occasione del RUFA Contest di quest’anno. Anche in questo caso sono intervenute esigenze di tipo pratico?
«In effetti sì, c’era la preoccupazione di gestire Cannes e, a sole due settimane di distanza, il RUFA Contest. Era una domenica mattina – sembra un film di Verdone – quando mi misi a riflettere che la situazione storica e politica che stiamo vivendo e che abbiamo vissuto rievoca molto l’universo dantesco: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Era la Divina Commedia. Il padiglione per Cannes si è sviluppato quindi sul tema “Vizi e Virtù” (andando a cogliere un aspetto dei poemi di Dante Alighieri), mentre al contest abbiamo dedicato la Divina Estetica: l’estetica come quel valore che viaggia oltre l’ideologia politica. Da uno stesso punto di partenza abbiamo potuto sviluppare due progetti, riuscendo a utilizzare le stesse tecnologie, dal momento che non c’era il tempo materiale per sperimentarne di nuove. Poi, per il RUFA Contest, lo straordinario coinvolgimento di David LaChapelle ha reso tutto più facile. All’inizio avevo pensato anche a Yoko Ono, che rispose subito positivamente all’invito: mi piaceva l’idea di un’artista rivoluzionaria, dissacrante, in antitesi con il tema stesso dell’evento. Abbiamo ceduto all’interesse di LaChapelle e, visto l’entusiasmo con cui si è dedicato all’evento, è stata la scelta più felice oltre che artisticamente coerente».
A Venezia e a Cannes qual è stato il dialogo tra cinema e design? Che rapporto si è instaurato tra i due mondi?
«L’anno scorso a Venezia il rapporto è stato molto attivo, quando siamo partiti proprio dalle scenografie dei film per progettare il nostro allestimento. L’anno scorso, inoltre, sono stati molto apprezzati i cinque séparé in plexiglass che avevo disegnato ed esposti all’interno dell’Hotel Excelsior, dove ha sede il Padiglione: si tratta di lastre che, cambiando
la prospettiva, cambiano colore assumendo tutte le tonalità della gamma cromatica.Si ispiravano a un film di fine anni 60. Si tratta comunque di un rapporto essenziale, a cui non siamo venuti meno neanche quest’anno sia a Cannes che a Venezia. Siamo molto attenti al design, alle cromie, all’armonia della composizione e in generale al concept; ma al momento della realizzazione il concept dev’essere tradotto in immagine e qui il nostro riguardo per il cinema sta nella cura del dettaglio. Sensibilità che è già stata notata in passato.
L’attenzione va poi anche nel senso opposto: ricordo quando l’anno scorso, a Venezia, Spike Lee mi chiamò per chiedermi spiegazioni su quegli specchi che, messi su tutti i lati, riflettevano ogni immagine all’infinito. Mi stupì che un regista del suo calibro fosse così incuriosito dall’allestimento del padiglione. Quest’anno a Cannes ci sono stati diversi contatti con produttori e registi per l’uso dei laser interattivi, per esempio. Le nostre installazioni sono sempre interattive: invitiamo i visitatori, gli attori e gli ospiti a passare di lì e così facendo interagiscono con quel luogo, l’installazione cambia. Se si pensa al cinema come immagine in movimento, in nostro design dinamico fa sì che la relazione tra questi due mondi sia molto più stretta di quanto si pensi».
Lucrecia Martel, quest’anno presidente della giuria della Biennale, ha parlato del cinema come “dell’immenso desiderio dell’umanità di capire sé stessa”. L’idea di interattività dei vostri progetti, il vostro design va in questa direzione?
«Anche quando si tratta di scegliere il tema per un progetto, la nostra attenzione è rivolta completamente a sentire quello che succede nella nostra realtà, nel nostro mondo, e quindi a cercare di affrontare dei temi che da una parte siano di attualità, ma che dall’altra non siano schierati. Perché logicamente sappiamo l’importanza di far scaturire da ognuno la propria idea, la propria opinione sui vari temi, interpretandoli. I temi sono sempre quelli che riconducono all’uomo, alla radice delle cose.
Da qui l’apertura, il coinvolgimento, l’interattività e la collaborazione. Perché per portare a termine sfide come quelle che Cappelli Identity Design ha affrontato in questi ultimi anni ci vuole una buona dose di incoscienza, ma anche di umiltà, che è coscienza del valore del dialogo e della collaborazione. Coscienza, o meglio, conoscenza: mentre a livello creativo il fervore dello studio è altissimo, una volta definita la strada prestiamo ascolto alle persone specializzate in quella specifica tecnologia o disciplina, in cui non ci avventuriamo se non affiancati da grandi professionisti. È una cosa che spesso manca, perché logicamente l’esperto costa e alla fine si vede solo un’approssimazione della realizzazione, mentre sono pochi gli studi che investono su un discorso legato alla qualità. Ma la qualità ripaga, e la qualità molte volte è sinonimo di collaborazione.
Il nuovo studio che abbiamo inaugurato quest’anno, nei pressi di San Giovanni in Laterano, nasce proprio da questa ideologia: uno spazio da condividere con altri professionisti, con chi vuole progettare qui nel nostro studio, per uno scambio reciproco. Assolutamente non chiudiamo le porte. Tant’è che abbiamo creato una residenza per artisti all’interno dello studio, in cui i designer possono soggiornare e sviluppare i loro lavori».
Cosa prevede il prossimo futuro di Cappelli Identity Design, ci sono altri festival in vista?
«Abbiamo già avuto l’invito per partecipare alle gare dei prossimi festival del cinema, sia dalla Biennale di Venezia, sia da Cannes. Poi abbiamo avviato un’attività interessante anche sul piano sociale: abbiamo messo a disposizione due borse di studio per ospitare nel nostro studio a Roma studenti provenienti da paesi in via di sviluppo. Una delle nazioni scelte è Cuba, da dove ho fatto ritorno da poco, dopo 15 giorni in cui con un fotografo ci siamo dedicati a intervistare persone più e meno note, cercando di riportare l’essenza e la vita artistica dell’isola. Ne nascerà un libro sui colori di Cuba.
L’altro paese è ancora da definire, ma siamo orientati verso il Burkina Faso per i contatti con Francis Kéré, sempre vivi dal 2017, quando partecipò al RUFA Contest come ospite speciale. È l’ennesima prova del clima che il nostro studio riesce a creare: relazioni e amicizie che, nate nel segno del design, proseguono oltre».