Uno slow-sitting contro il logorio della vita moderna? La storia del design non ci ha regalato un tale movimento – per il momento – ma un genio che ha riflettuto sull’accelerazione senza sosta del tempo sì.
Nel 1945, Bruno Munari aveva chiaro che la frenesia era sempre meno timida nel suo ingresso a gamba tesa nel tempo e per questo aveva pensato a una «Sedia per visite brevissime». La realizzerà solo cinquant’anni più tardi, nel 1991, per Zanotta, ed è una seduta in legno con intarsi finissimi, simili a quelli delle antiche macchine da cucire. Fin qui nulla di sospetto eppure c’è un dettaglio che fa la differenza: il piano della sedia non è dritto ma inclinato di 45 gradi, per cui se è quasi impossibile sedersi è molto più facile scivolare (cosa peraltro facilitata dall’alluminio). Durante una lezione all’Università di Venezia, nel 1992, Munari dichiarava che avrebbe progettato una nuova sedia solo se avesse trovato una ragione logica per farlo, riferendosi forse al fatto che quest’oggetto è così comune nella storia del design come in poesia lo è la rima fiore-amore. Eppure, come notava egli stesso, la sedia per sedute brevissime non è un oggetto ma una «comunicazione per immagini»; prodotto sì, ma ironico e di una logica finissima.
Questo tempo sempre poco può diventare molto, se speso nella ricerca di cose abbandonate da ripensare in un progetto, cosa che ha fatto Martino Gamper (Merano, 1971), altro istrione che lavora con molta disinvoltura al confine tra arte e design. Per due anni, l’artista ha perlustrato il quartiere intorno al suo studio di Londra per raccogliere sedie, materiali e oggetti sparuti da forgiare a nuova vita. Il risultato è stato «100 Chairs in 100 Days» esposto nel 2007 nella capitale inglese e due dopo in Italia, alla Triennale di Milano.
Cosa diventa un’anonima sedia da giardino in plastica bianca se viene ammantata da una sofisticatissima finitura in oro? È quello che si chiede Gamper, fermamente convinto che il design non ha a che fare con oggetti «perfetti», ma con cose che anche se sono stravaganti, eccentriche o sbilenche aderiscono all’idea comune di “sedia”. «Sono come un gruppo di persone riunite in una stanza» nota l’artista e, a proposito, quante ore abbiamo passato nelle nostre negli ultimi mesi? Tempo infatti è anche quello speso tra le mura domestiche e molto è stato di lavoro durante il lockdown. Questo smart working forzato è un cambiamento che forse non sarà irreversibile, ma è comunque destinato a protrarsi per molto.
Per questo è nata in Italia la prima sedia destinata a migliorare la qualità del lavoro da casa. A progettarla è stata la Luxy, azienda vicentina di design che esporta in 40 paesi del mondo e vanta collaborazioni, tra gli altri, con i designer Massimiliano e Doriana Fuksas, Mario Ruiz e Favaretto & Partners. Questo prodotto nasce da una semplice constatazione: se a casa mancano sedute idonee ai tempi lunghi del lavoro (e non le frazioni brevissime ironizzate da Munari), le conseguenze per la salute non saranno rosee. Il design di queste sedie ruota, pertanto, attorno all’obiettivo dichiarato di ridurre lo stress dell’apparato muscolo-scheletrico. C’è di più. Giuseppe Cornetto Bourlot, presidente di Luxy, sta lanciando alle aziende un servizio “chiavi in mano” e di welfare aziendale: non sono i dipendenti a dover acquistare la sedie, ma le aziende a dotare i propri collaboratori di uno strumento concepito per lavorare in sicurezza. Da casa.
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