Se borse e rossetti sono accessori indispensabili, allora i gioielli instaurano sicuramente un rapporto ancora più stretto, non solo con il nostro corpo. Indossare dei gioielli aiuta a ottenere un fantastico tocco finale per il nostro look, soprattutto quando si tratta di pezzi unici che aiutano anche a comunicare la nostra personalità. Ciò accade soprattutto quando vengono realizzati da artisti, che riescono a enfatizzarne il valore. È il caso di Peruffo Jewelry, azienda vicentina dei Fratelli Bovo con oltre 40 anni di esperienza alle spalle, legata sin dalla sua fondazione a una visione artistica del gioiello. L’azienda ha appena lanciato PArt – Peruffo Jewelry for Art, un progetto di collaborazione con artisti internazionali, volto alla creazione e alla valorizzazione del gioiello. Gli artisti coinvolti hanno modo di relazionarsi con le maestranze dell’azienda, in modo da poter sviluppare e creare un gioiello unico nel suo genere, una vera opera d’arte.
Prima artista di questo percorso è Anna Franceschini, la cui opera/gioiello è stata presentata a dicembre, nel corso della mostra collettiva “MPP, Même pas peur”, a cura di Davide Stucchi, presso la Galleria Martina Simeti di Milano.
«Il pezzo nasce da un periodo di studio intenso del nascente exhibition design durante gli anni venti, quando il concetto di mostra e installazione come noi lo intendiamo si stava stabilizzando», così l’artista racconta l’origine del suo progetto DEMONSTRATIONSRAUM.
«Il progetto è ispirato dalle “Stanze Dimostrative” che El Lissitzky realizza nel 1926 e 1927 a Dresda e Hannover. Le Stanze sono uniche nella storia delle esposizioni: diverse da un’opera, ma troppo autoriali per essere solo un allestimento, costituiscono un esperimento percettivo totalizzante per il visitatore e un modo anti-essenzialista di esporre l’arte. La stanza funziona come un grande gioco ottico che si attiva con il movimento dello spettatore nella stanza. Al deambulare di quest’ultimo, le pareti, composte di una listatura a colori alternati e posizionata a cadenza regolare, si animano grazie a un effetto moiré, mettendo in discussione i rapporti tra opera, parete e fruitore», ha spiegato Franceschini.
«Ho concepito la scultura come una delle stanze. L’effetto in questo caso è forse più rivolto a chi porta il gioiello che non a chi lo vede. Il vero visitatore della stanza gioiello è colui/lei che lo indossa, che percepisce la modificazione percettiva dovuta al gioiello-installazione. Il gioiello funziona come un dispositivo di visione piuttosto coercitivo, una disciplina dello sguardo solo parzialmente modificabile, grazie ad alcuni elementi mobili, come tendine formate da barrette metalliche.
Vorrei che il dispositivo facciale fosse sempre percepito e presente, mai dimenticato. Un gioiello disciplinare che imponga la percezione della realtà fisica del nostro sguardo incarnato, attraverso la sua menomazione temporanea»
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