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Dopo aver fatto a pezzi gli Spot Paintings di Damien Hirst – e averli venduti in edizioni di multipli – MSCHF dà un altro taglio, questa volta al Pratone di Gufram: il collettivo artistico, già noto per le sue irriverenti incursioni nel mondo della moda, ha infatti “decespugliato” l’iconica seduta scultorea, progettata nel 1971 da Giorgio Ceretti, Piero Derossi e Riccardo Rosso per l’azienda italiana. Il nuovo Cut Pratone sarà quindi presentato in occasione della mostra Industry Plant alla galleria Perrotin di New York. In esposizione anche un altro intervento realizzato in collaborazione tra MSCHF e Gufram, ancora su un pezzo storico di design radicale: l’appendiabiti Cactus, progettato da Guido Drocco e Franco Mello nel 1972. In questo caso, il collettivo non ha tagliato ma aggiunto una goffa antenna 5G, incastrata tra i polloni della pianta.
Mettendo giocosamente in discussione la relazione tra l’uomo e il mondo naturale nell’epoca dell’iperconsumo, il Pratone è uno dei pezzi più originali della storia del design contemporaneo. La seduta è composta da 42 lunghi fili di erba meticolosamente lavorati e rifiniti a mano in Guflac, la speciale vernice che permette di pellificare la schiuma poliuretanica rendendola resistente ma conservandone la morbidezza. Perché la comodità è al primo posto anche nel caso di un pezzo di arredamento d’avanguardia: il Pratone fu infatti scelto per apparire sulla copertina del catalogo di Italy: The New Domestic Landscape, una delle mostre segnanti della seconda metà del Novecento, andata in scena nel 1972 al MoMA di New York.
L’opera è esposta nelle collezioni di importanti musei in tutto il mondo, come il Vitra Design Museum, in Germania, il MUDE di Lisbona e il Musée des Beaux Arts di Montreal. Inoltre, con SUPERPRATONE Gufram ha ingrandito la poltrona fino a farla diventare una scultura gonfiabile di 5,30 metri: l’installazione è stata poi collocata in Piazza San Fedele a Milano, nel 2021, per celebrare il suo cinquantesimo anniversario.
E adesso MSCHF ne propone un’ulteriore, tagliente interpretazione, conservando lo spirito radicale originario. L’intervento, a prima vista, sembra imporsi per la sua violenza progettuale e, in effetti, è così, richiamando il titolo della grande mostra personale del gruppo del 2023 al Daelim Museum di Seoul, Nothing is Sacred, niente è sacro, nemmeno gli oggetti che ci circondano e che segnano le nostre epoche. Eppure, anche questa operazione di dissezione ci permette di riconoscere la vitalità persistente e pulsante delle aspirazioni rivoluzionarie del design e la sua rilevanza nel dare forma al nostro presente.