Al di là delle sue valenze emozionali, esiste una vera e propria estetica della luce artificiale. Perfino rileggendo con occhi moderni le opere di Caravaggio, possiamo immaginare che quei fasci di luce obliqui sono generati da fari alogeni, mentre gli autori del Realismo Magico azzerano il chiaroscuro con un’illuminazione diafana, uniforme, sotto a un soffitto permeato da tubi fluorescenti…
Tuttavia, è stata la persistenza della lampadina a incandescenza nell’industria e nella nostra vita quotidiana ad avere creato un paesaggio progettuale che oggi dobbiamo rimettere in discussione.
Per oltre un secolo, dagli studi pittorici di Giacomo Balla in poi, il design ha creato lampade proprio intorno alla lampadina, quasi come fosse un vestito: la sorgente era un’entità indiscutibile, mentre l’involucro ha rispecchiato il gusto del tempo e le sue istanze sociali. Dall’elettrificazione degli chandelier tempestati di cristalli fino ai modelli dinamici di Gino Sarfatti, le lampade hanno sempre costituito, soprattutto nelle case, oggetti dalla personalità tutt’altro che neutra. Oltre alla funzione di illuminare, spesso interagendo con la manualità dell’utente, hanno segnato decenni di paesaggi domestici, tanto da diventare vere icone epocali. Irradiavano magia (ovviamente) da accese, ma anche da spente erano totem simbolici al pari delle sculture e degli altri elementi d’arredo.
Ma non sempre l’innovazione tecnologica scatena nuovi impulsi disegnativi. L’avvento dei LED, che coincide temporalmente con l’inizio del nuovo millennio, ha portato il lighting design verso la smaterializzazione del corpo luminoso, fino a ridurlo a un punto o a un filamento. La lampada viene ridotta all’essenziale, tanto da diventare minimalista con due decenni di ritardo rispetto all’arredo. Ogni elemento di caratterizzazione linguistica appare superfluo o in contrasto con quel processo di dissoluzione visiva. E la potenza d’immagine del prodotto appare inversamente proporzionale alla ricerca sul rendimento delle sorgenti. Unica eccezione, Ingo Maurer, che ha condotto la miniaturizzazione della lampadina nel terreno della sperimentazione poetica e tipologica.
Insomma, mentre poltrone, contenitori e tavoli cercano affannosamente un’identità – spesso in chiave imitativa – nel caos merceologico contemporaneo, le lampade vi rinunciano. Non a caso, se oggi si va alla ricerca di un oggetto illuminante prestigioso e riconoscibile, il cliente si orienta verso icone del passato, attinte sia dal mercato del vintage sia dai cataloghi di aziende che hanno continuato a editare certi modelli.
Non a caso, il recente rilancio del marchio milanese Stilnovo è avvenuto proprio con la riproposizione di lampade disegnate da Sottsass, Castiglioni, Joe Colombo e altri tra il 1946 e agli anni ‘80… che, paradossalmente, funzionano con lampadine a LED montate all’interno di bulbi di tipologia arcaica…
Una ricerca della “diversità” che si oppone soprattutto all’omologazione. Una linea orizzontale sopra al tavolo da pranzo o un esile stelo a pavimento, in fondo, sono entità monodimensionali che si assomigliano fra loro, tradendo la personalità individuale, la filosofia del marchio e la tradizionale distinzione tra low cost a alta gamma.
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