Il Met di New York e il Centre Pompidou di Parigi hanno acquisito i loro lavori e le Serpentine Galleries di Londra hanno ospitato lo scorso anno una loro mostra dal titolo “Cambio” che, attraverso installazioni e filmati, indagava l’impatto ecologico dell’industria del legno. “Cambio” arriverà anche al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, dal prossimo 15 maggio al 24 ottobre 2021.
Ma nel frattempo per i Formafantasma sono arrivati anche due importanti riconoscimenti internazionali: il Wallpaper* Designers of the Year e il Dezeen’s Designers of the Year. Secondo la giuria del premio dell’influente rivista inglese Wallpaper*: “Il duo incarna ciò che il design significa oggi. Andrea Trimarchi e Simone Farresin riuniscono forme squisite, materiali insoliti (tra cui polimeri di origine vegetale, ceneri vulcaniche e scarti elettrici) e la convinzione che il design possa indirizzarci verso una cittadinanza più responsabile e un mondo migliore”. La giuria del premio organizzato dall’altrettanto popolare e prestigiosa rivista di design e architettura Dezeen ha dichiarato: “Formafantasma è uno studio altamente articolato le cui ambizioni intellettuali ed etiche sono la forza trainante del loro lavoro veramente sofisticato e bello”. I Formafantasma, in effetti, si sono da sempre distinti per l’uso sperimentale dei materiali, per la ricerca e per un approccio al design originale. Tutto questo per ripensare sistemi complessi che influenzano la produzione a livello globale e trovare, nel loro ambito, soluzioni alternative a ciò che ci ha portati all’inarrestabile crisi ecologica mondiale. E mai come in questo momento in cui, a causa del cambiamento climatico, persino le foreste pluviali in Africa e Amazzonia — secondo gli scienziati dell’Istituto Nazionale Brasiliano per la Ricerca Spaziale — iniziano paradossalmente a emettere più Co2 che ossigeno, le soluzioni intelligenti sono cruciali per immaginare un pianeta migliore. Li abbiamo raggiunti ad Amsterdam, loro città d’adozione.
Formafantasma è un paradosso per un designer. Che significato ha per voi?
«Abbiamo scelto il nome in modo intuitivo e prima che aprissimo ufficialmente il nostro studio. Nel tempo però è diventato sempre più coerente con la nostra idea di design che preferisce il processo e la ricerca contestuale a quella formale. La forma è conseguenza di un processo, cambia».
Vi siete distinti per l’uso sperimentale dei materiali e per la ricerca. Qual è la vostra mission?
«Il lavoro in studio si sta dividendo sempre più in due parti separate: una dedicata alla ricerca, con un’attitudine più radicale, l’altra più tradizionale, basata sul disegno di prodotti. Lo scopo è capire come la disciplina del design possa evolvere oltre le dinamiche generate dal pensiero moderno che ci ha condotto alla crisi ecologica attuale. Ci interessa disegnare nuovi prodotti ma anche analizzare e ripensare sistemi molto più ampi e complessi che influenzano la produzione a livello globale. Per esempio negli ultimi anni abbiamo sviluppato Ore Streams, progetto sul sistema di riciclaggio globale degli scarti elettronici».
Avete aperto lo studio ad Amsterdam. Cosa vi ha spinto a stabilirvi nei Paesi Bassi?
«Abbiamo studiato entrambi all’ISIA di Firenze e poi alla Design Academy di Eindhoven. Lì ci siamo iscritti mandando un portfolio congiunto e siamo stati accettati come team. La decisione di continuare gli studi fuori dall’Italia è perché trovavamo che il modo di lavorare dei designer della nostra generazione nei Paesi Bassi fosse più simile a noi e al nostro modo di esplorare il design come disciplina».
Lavorate con molte aziende italiane e siete a capo di un Corso di Laurea in Design a Siracusa. Che cosa vi manca e cosa non vi manca dell’Italia?
«Adoriamo l’Italia e la troviamo altrettanto insopportabile. Siamo innamorati di tutti i bellissimi cliché del paese. Il clima, il cibo, il paesaggio. Odiamo la nostalgia per il passato, la mancanza di pragmatismo e la rassegnazione alla corruzione, all’abbandono del Meridione. Per noi essere impegnati con l’educazione a Siracusa ma anche con un master guidato da noi alla Design Academy di Eindhoven da settembre 2020 è un modo per contribuire a crescere designer che sappiano fare meglio di noi. Che sappiano essere più radicali e immaginare futuri migliori».
Che cosa suggerireste quindi a un giovane designer italiano che intraprende la vostra professione?
«Di studiare in Italia e poi all’estero, e di seguire il proprio intuito cercando però di capire come anche le idee apparentemente più irrazionali si connettano alla realtà, al presente».
Quando si tornerà a viaggiare senza limitazioni, che cosa non mancherà nei vostri bagagli?
«Un libro, uno spruzzino e una spazzola per togliere velocemente le pieghe dai vestiti!».
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