Categorie: Design

Milano Design Week: “specie di spazi”

di - 7 Settembre 2021

Che non potesse essere un Salone del Mobile e, di conseguenza, un Fuori Salone “normale” si era ben intuito da tempo: tra l’incertezza continua delle mutazioni delle “misure sanitarie” e le restrizioni agli spostamenti internazionali, quella che è iniziata a Milano è una Design Week in forma ridotta, ma non per questo trascurabile. Anzi. Proprio perché nata in un tempo di profonda difficoltà, senza false retoriche, va premiato l’impegno.
Poco importa se molti brand abbiano scelto di non presentare nuovi prodotti e progetti – ricordiamo che la prossima edizione del Salone sarà ad aprile 2022, esattamente fra sei mesi, e siamo tutti ben consapevoli di quanto possa essere difficile per un’azienda sostenere due manifestazioni di questo tipo nell’arco di un anno – quello che conta è il fatto che Milano dopo un lunghissimo periodo di buio totale sembra tornare a una specie di normalità.
Certo, non ci sono in giro per la città i mille e trecento e passa “eventi” che si erano contati nell’edizione 2019, ma le occasioni di scoprire nuovi spazi e nuove forme e idee non mancano.
Partiamo dal punto più lontano sulla mappa cittadina, alla fermata della linea 1 Inganni, che è anche però una delle realtà più visitate: Alcova.
Dopo la vendita dell’ex spazio Cova, a NoLo, che Alcova (piattaforma per il design sviluppata da Space Caviar e Studio Vedèt) aveva fatto rivivere nel 2018 e 2019, il progetto si sposta nell’ex “campus” militare, in quello che è un grande parco urbano (purtroppo) quasi dismesso: qui, in quella che era l’ex Lavanderia delle caserme, nella “Casa delle Suore”, nel piccolo Tempio e anche open air, Alcova ha invitato 50 espositori tra designer indipendenti, brand innovativi, gallerie, istituzioni culturali e aziende, per un totale di 3mila e 500 metri quadrati di “esposizione”.

LABINAC © Studio Piercarlo Quecchia

Qui troviamo Labinac, il “brand” ideato da Jimmie Durham con la compagna Maria Thereza Alvez, con i suoi vasi in vetro soffiato rilucenti, e i prodotti di un design sostenibile ma accattivante, fatto di riciclo di oggetti e colori, che di certo non potrà mai incontrare gusti particolarmente “moderati”.
Divertente il progetto HEAD dell’Università dell’Arte e del Design di Ginevra, che in una sala un po’ fiabesca offre anche uno shoot di latte di mandorla direttamente da un postazione bar provvisa di un circolo di alambicchi.
Insomma, anche se non siete appassionati di design il giro ad Alcova vale la pena. Per capire come, se ancora non fosse chiaro, come l’arte “dal basso” potrebbe ben far rivivere ex-spazi metropolitani lasciati al tempo e a nessuno. E che quasi sempre, per il loro non generare più indotto, sono ben facili da obliare e ben difficili da rivedere.

NILUFAR GALLERY © Studio Piercarlo Quecchia

Dall’altra parte della città, invece, uno spazio che ormai ha fatto storia: Assab One, di Elena Quarestani. Qui, come da tradizione, in occasione della Design Week va in scena il progetto “1+1+1”. Nei rinnovati spazi dell’Associazione, in zona Cimiano, stavolta sono in scena le opere di Marco Palmieri, Claudia Losi con le architetture di jan de vylder inge vinck e il design di Caretto/Spagna e Daniele Papuli.
E dalle Scultografie di Pupuli si comincia il viaggio: ad accoglierci nel nuovo “white cube” di Assab una scultura composta di 42mila fasce di carta bianca, “intrecciate” a formare una superficie, che ricorda le profondità marine, il sale del mare della Puglia (regione di origine di Papuli), impronte digitali, coralli, isole, idee metalliche…Ma la vera scoperta, attraverso la luce che cade su questo grande “tappeto”, è l’identità cangiante dei bianchi, che diventa rosa, verdi, neri, viola. E che suonano attraverso una “partitura” che descrive il meticoloso lavoro dell’artista nel dare alla carta un’identità inedita.
Architetto di formazione e allievo di Ettore Sottsass, Marco Palmieri invece – al primo piano di Assab – ci mette davanti a 360° Horizon, una “cartolina” della meraviglia che guarda alle marine di Carlo Carrà universalizzandole con poche linee geometriche e l’uso del bianco e nero: sono fotografie di veri fondali che Palmieri realizza e acquarella in studio, che creano un paesaggio impressionantemente metafisico, dove ognuno può ricostruire la propria idea di mare, di orizzonte. Senza alcuna postproduzione.
Un’entità spaziale che ricorda il Perec di Specie di Spazi, e della sua avventura letteraria nel narrare la concatenazione degli ambienti con la nostra vita, che riprende anche Losi per raccontare il suo Eppur si manifesta la relazione, una riflessione sul paesaggio che ci contiene, attraverso forme candide e “abitabili”, che riprendono l’idea dell’universo attraverso-con-il-quale cresciamo.

Daniele Papuli, SCULTOGRAFIE, Assab One © Michela Gallesio

Terzo progetto decisamente curioso è quello dell’architetto portoghese Manuel Aires Mateus, per il cortile di Palazzo Litta invitato da MoscaPartners, che è drasticamente cambiato da quello che il progettista aveva in mente per quello che sarebbe dovuto essere il Fuori Salone 2020.
«Il progetto originale doveva chiamarsi Silenzio – racconta Matteus – ed era composto da uno specchio d’acqua non attraversabile dal pubblico che avrebbe dovuto occupare tutto il cortile. Doveva essere un invito alla riflessione, e un riflesso alla bellezza del barocco Palazzo Litta. Poi è successo quello che ben sappiamo, e di silenzio e di “spazi non attraversabili” ne abbiamo avuto abbastanza. Così, pensando ad oggi, il lavoro è cambiato radicalmente». E infatti, entrando a Palazzo Litta, sarete accolti da Una spiaggia nel Barocco; una cabina a strisce bianche e rosse in sovradimensionata, una spiaggia-tappeto calpestabile, e anche un carrello di Gelati Italiani, che offre al pubblico mini coni. È una spiaggia “qualsiasi”, un’idea balneare che appartiene al Mediterraneo, e che vuole essere anche un paradosso architettonico, oltre ad una riflessione: «Era necessario pensare a un ambiente che ricordasse l’evasione, la festa, la convivialità – continua Mateus – e che fosse “comune” allo sguardo di ogni visitatore. Qui ognuno ritrova la propria spiaggia, e decide di viverla come preferisce, senza oltraggiare ma prendendosi libertà rispetto all’ingombrate struttura che la ospita».

Paola Paronetto – Pistilli, Photo Studio Auber

Una quarta occasione per scoprire una designer che lavora al confine dell’incanto è cercare il sotterraneo dell’ADI Museum, in zona Monumentale, dove Paola Paronetto ha messo insieme oltre cento pezzi, grandi e piccoli, di nuova produzione, per creare “Metafore”.
Leggeri come ninfee, rilucenti come acqua, questi vasi-steli riflessi nei locali delle antiche caldaie su una superficie metallica sembrano ricordare – specialmente quando fotografati – le nature morte di Giorgio Morandi con le loro nuance perfette.
Che sia, anche per il design, giunto il momento di ripensarsi in una forma più “poetica” e universale in senso umano, rispetto a quanto avvenuto finora?
Qual è la chiave per la prossima vita del progetto, quando ormai è evidente la debolezza che pervade, per esempio, tutta la narrativa intorno al “design sostenibile”, diventato intellettualmente e esteticamente insostenibile? Tralasciamo, infatti, volontariamente, tutto quello che anche quest’anno si sbraccia come “green” e i cui risultati decisamente trascurabili si vedono un po’ qui un po’ là, tra fluidità varie ed eventuali e scuse non richieste quando il prodotto risulta ben poco accattivante a causa del suo essere frutto di un recupero. Una forma mentis che ha fatto il suo tempo, e che sarebbe ora di spazzare via come l’idea di “consumare” i nostri ambienti oggetto dopo oggetto.

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